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ROMAFICTIONFEST - GLI ’ALTRI’ SCENARI DELLA FICTION

Pubblicato il 8 luglio 2007 da Andrea Esposito


ROMAFICTIONFEST - GLI 'ALTRI' SCENARI DELLA FICTION

Il RomaFictionFest, appena conclusosi, ha offerto una discreta selezione di fiction provenienti da varie parti del mondo. Cerchiamo in questa sede di tratteggiare una breve panoramica su prodotti alternativi a quelli proposti dalle produzioni che meglio conosciamo (principalmente quelle di Stati Uniti, Inghilterra e, in misura minore, Francia, Germania e Italia).

Incominciamo da una produzione iraniana, Kodak-e Shaer (The Poet Child), al centro della quale c’è il rapporto padre-figlio. Il padre analfabeta viene assistito dal figlio nelle lunghe pratiche che preludono al pensionamento. Il film diventa così un ritratto surreale e realistico di un paese allo sbando, tenuto in piedi da una burocrazia grottesca. Ritratto della realtà del proprio paese è anche Wo De Shi Xi Sheng Huo (My Internship Life) un tv-movie cinese girato da Zhang Xian. Si tratta di un prodotto più propriamente televisivo, che riprende e sviluppa temi e ambienti delle soap. Incentrato sulle relazioni sentimentali tra i personaggi, My Internship Life racconta di una neolaureata che si trova a lavorare per un’emittente televisiva: ne scaturisce un ritratto del mondo dello spettacolo e della società cinese tra soldi e amore. Ciò che rende il film interessante è la struttura narrativa, ispirata alla forma della poesia classica cinese, che, come dice il regista: ‘E’ l’essenza della cultura cinese. Per le sue strutture parallele, si può guardare alla storia e allo stesso tempo ai singoli capitoli singolarmente.’
Sicuramente, il più interessante dei prodotti fin qui presi in considerazione è il film russo Posledny Zaboy (The Last Mine Shaft), di Sergey Bobrov, in cui si racconta la storia di tre minatori che decidono di farsi esplodere per far sì che le rispettive famiglie vengano ricompensate per la loro morte. Il soggetto vagamente surreale rende il film di Bobrov una stralunata commedia nera, la quale, però, trae forza da un fondo estremamente drammatico: c’è un marito impotente di fronte alla malattia della moglie, un padre che scopre che la figlia in città lavora come prostituta. Assistiamo a lacrime, tentati suicidi, uno stupro, vite disastrate e precarie. Ne risulta un tono assai originale, un umore bizzarro sempre in bilico tra malinconia ed euforia, talvolta vicino a certe atmosfere di Kusturica. Ma Last mine shaft è anche una critica alla società russa contemporanea: i protagonisti ricordano con nostalgia il tempo in cui ‘i minatori erano ricchi’. La scelta di morire per far sopravvivere le proprie famiglie è inevitabilmente anche un’amara riflessione sulle condizioni in cui i minatori si trovano costretti a vivere e sull’ingiustizia del sistema russo.

Passiamo ora a due produzioni di fiction seriale. La prima è Nogaremono Orin (The Fugitive Orin), una serie giapponese ambientata ai tempi dell’era Edo. A livello contenutistico si tratta di un prodotto scarsamente interessante (la killer Orin deve difendere lo shogun e allo stesso tempo ritrovare suo figlio), e la regia rispetta tutti i cliché del genere (salti prodigiosi, duelli al rallenti, ecc.). L’aspetto interessante sta nell’intreccio tra stili e linguaggi del manga e della soap, che rende il prodotto per certi versi straniante e fuori dal tempo. I personaggi sono abbozzati e i loro comportamenti prevedibili, il plot è privo di sorprese, la messa in scena e gli effetti speciali sono assai poveri. Ma per certi versi è proprio la sua aspirazione a diventare un ‘classico’ ad incuriosire. Più che nostalgico, esso sembra quasi provenire da un’altra epoca.
Anche tra le seriali, è nuovamente una produzione russa a sorprendere: V Kruge Pernom (The First Circle), di Gleb Panfilov, tratto dall’omonimo romanzo di Alksandr Solzhenitsyn sui crimini del regime stalinista. La serie intreccia le vicende parallele di due protagonisti: un diplomatico russo che tenta con tutti i mezzi di impedire a Stalin di costruire la bomba atomica, e un matematico rinchiuso in uno ‘sharashka’, un campo di lavoro dove uomini di scienza vengono rinchiusi per servire il regime. V Kruge Pernom ha dalla sua una pregevole sceneggiatura: tensione narrativa costante e valido sviluppo delle situazioni, ma soprattutto dialoghi di eccezionale intensità. Mai retorici, sempre toccanti, costituiscono essi per primi l’ossatura di questo durissimo atto d’accusa contro il regime stalinista.

Se nel mondo anglosassone la fiction seriale e i film per la tv arrivano a rappresentare avanzate piattaforme di sperimentazione di codici narrativi e ibridazioni di linguaggi, in altri contesti geografici la fiction pare offrire prodotti che solo in alcuni casi riescono a riscattarsi da percorsi e stili puramente imitativi. Ma se, anche a livello formale, il prodotto per la televisione non possiede ancora la ‘maturità’ necessaria per elaborare una sintesi efficace ed innovativa delle esigenze specifiche del mezzo televisivo, in alcuni casi esso riesce a creare (o perlomeno suggerire) tracciati interessanti e peculiari, possibili percorsi di un uso diverso del materiale di lavoro che offre generalmente la fiction televisiva.


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