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RomaFictionFest - Raccontami: un modello di fiction mainstream

Pubblicato il 7 luglio 2007 da Fabiana Proietti


RomaFictionFest - Raccontami: un modello di fiction mainstream

La fiction generalista è perciò, come abbiamo visto a proposito del rigido schematismo tra dramma e commedia, affabulatrice, pigra e a volte leziosa: uno specchio del suo pubblico, che ha voglia di essere condotto per mano nella narrazione da dettagli sovrabbondanti, metafore più che esplicite e una evidenza di contenuti pressoché totale.
In tal senso il suo prodotto più esemplare è Raccontami, fiction di Raiuno – in onda lo scorso inverno – ideata da Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia.
Ma la firma che condiziona maggiormente il progetto sembra quella prestigiosa dello story editor: Stefano Rulli. Raccontami sembra quasi una versione edulcorata de La meglio gioventù di cui riprende l’impianto narrativo: raccontare la storia del secondo novecento tramite l’intrusione – a dir poco zavattiniana – nella vita di personaggi comuni, indicativi, in cui il pubblico possa riconoscersi. _ Laddove, però, la Meglio gioventù affrontava (forse con eccessiva disinvoltura) temi scottanti e pagine controverse della storia italiana, Raccontami si concentra invece sui colorati anni 60, gli anni del boom economico, degli elettrodomestici e delle canzonette.
Ma soprattutto della televisione e della stessa Rai, che inizia le sue trasmissioni il giorno in cui viene al mondo Carlo Ferrucci, il bambino protagonista – e da adulto voce narrante (quella di Chevalier/Cruise: che shock!) – delle vicende di questa famiglia romana di metà secolo.
Un procedimento non proprio originale – sfruttato al cinema a più riprese: da Stand by Me a diversi film italiani, tra cui Concorrenza sleale di Ettore Scola – che attribuisce allo sguardo innocente ma acuto dell’infanzia il punto di vista privilegiato della narrazione.
Non si può però dire che Raccontami sia un prodotto mal riuscito, se ne può ammirare anzi l’accurato lavoro di ricostruzione scenografica, e soprattutto si percepisce la fede dell’equipe nel progetto, una scelta non dettata da logiche commerciali o strategie particolari, ma evidentemente sentita dalle due ideatrici.
Recuperare un mondo perduto, fatto di ottimismi e buoni sentimenti, un punto limite della nostra società tra un passato infelice e povero, segnato dalla dittatura e dalla guerra e un futuro immaginato roseo, all’insegna del progresso e della tecnologia. Un momento storico e sociale particolarmente fertile ma anche carico di segni opposti: all’enfasi delle tante costruzioni sorte in quegli anni fanno da contraltare le prime imponenti truffe edilizie, cui la miniserie dedica alcune puntate tramite il personaggio del capofamiglia, il geometra Ferrucci (Massimo Ghini), coinvolto suo malgrado nello scandalo dell’aeroporto di Fiumicino.
Così come grande attenzione è riservato al ruolo della donna, che comincia ad affrancarsi da una società patriarcale per scoprire infinite possibilità di realizzazione, non necessariamente confinate nel matrimonio e nella famiglia: il personaggio di Titti (Carlotta Tesconi) è quello di una femminista ante litteram, che vive con sofferenza la propria diversità rispetto ai desideri più ortodossi – marito e figli – delle amiche e delle donne della sua famiglia.
In più non mancano i volti riciclati dalle atmosfere alla Guareschi: i Don Camillo e Peppone rivisitati in Padre Negoziante (Marco Marzocca) e l’ateo proiezionista Pietro (Francesco Foti), iscritto al PCI.
Detta così la storia non sembra poi male: e in effetti non lo è. Ma la piacevolezza dell’operazione, che coinvolge e diverte, è però al tempo stesso anche il suo limite. Perchè nel momento in cui Raccontami propone quell’insieme di volti umani, che il cinema italiano ha immortalato in altri tempi con ben altra levatura - e nei cui confronti la televisione sembra patire una grande nostalgia - emerge tutta la frivolezza e la sostanziale vacuità del modello televisivo.
Raccontami appare pertanto non solo un tentativo di ripercorrere la storia d’Italia da un’ottica privata, ma anche un excursus di temi e personaggi della commedia di un tempo, capace di intrattenere senza rinunciare a una profondità di sguardo che purtroppo l’emulo televisivo non possiede.
E probabilmente non può averlo proprio in virtù di quei limiti che sono imposti al mezzo stesso e di cui allora non si può imputare la colpa al team di sceneggiatori ma all’intera struttura che impedisce alla fiction televisiva di fare un salto di qualità, oltrepassando il semplice intrattenimento da salotto per diventare un prodotto autonomo, di un livello qualitativo abbastanza alto da essere fruito non solo in casa ma anche in un contesto come quello che il FictionFest aspira ad essere.
La scarsa partecipazione alla manifestazione da parte di quel pubblico a cui questi lavori sono indirizzati dovrebbe allora far porre degli interrogativi: se giornate come queste siano da limitare agli addetti ai lavori – come il successo di pitching e speed dating tra sceneggiatori e produttori conferma – oppure se trascinare il popolo televisivo al cinema, alzando però necessariamente il livello dei prodotti.


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