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ROMAFILMFESTIVAL 2006 - CHIAMAMI SALOME’

Pubblicato il 6 dicembre 2006 da Andrea Esposito


ROMAFILMFESTIVAL 2006 - CHIAMAMI SALOME'

Dopo essere stata presentata qualche giorno fa nel concorso ufficiale del 30° Festival del Cairo, arriva al XI RomaFilmFestival Chiamami Salomé di Claudio Sestieri, un adattamento contemporaneo della Salomé di Oscar Wilde. Il film è una rielaborazione suggestiva e visionaria dell’originale: il testo è rispettato ma allo stesso tempo riscritto in molte sue parti, così da dare vita ad un interessante confronto dialettico.

Ernesto Mahieux (già applaudito ne L’imbalsamatore di Garrone, e presente al RomaFilmFestival 2006 anche con Il punto rosso di Marco Carlucci) interpreta uno straordinario Erode, tragico e sardonico: una figura complessa e profondamente umana, crocifissa dal suo desiderio, consapevole ed amara quando affronterà la sua rovina.
Notevole anche la performance di Elio Germano, che si conferma attore intenso ed eccezionalmente versatile. Interpreta il profeta Giovanni, qui un folle invasato prigioniero di Erode. E’ lui, che rifiutando la giovane Salomé, scatenerà il dramma. Così, al termine della notte, quando Erode convince Salomé a danzare per lui, lei in cambio chiederà soltanto la testa del “profeta” che l’ha rifiutata.

E’ molto interessante l’elaborazione che Sestieri fa dello spazio, un discorso già iniziato nei film precedenti Dolce assenza e Barocco. Ambientato tutto in uno strano luogo, a metà tra un hangar e una discoteca, il film gioca suggestivamente con i diversi livelli della rappresentazione, instaurando un rapporto curioso tra set, palcoscenico e luogo della finzione filmica. Del teatro il film conserva essenzialmente lo spazio; ovvero, il set diventa la messa in scena. Lo spazio limitato della discoteca diventa spazio della rappresentazione, il palco dove gli attori agiscono.
Ma il discorso di Sestieri è efficace specialmente per il rapporto che crea tra la regia e questa messinscena: lo sguardo vaga ad indagare lo spazio, esalta le espressioni e i personaggi, li sperde, scompone e ricostruisce l’ambiente con movimenti fluidi. Il montaggio e la naturale frammentazione dello sguardo cinematografico diventano così a un secondo livello cronaca del rapporto tra cinema e teatro, dell’occhio cinematografico che guarda e racconta (nuovamente) l’opera di Wilde.
Lo spazio conserva quindi del palco teatrale la sua predisposizione all’astrazione, ovvero la possibilità per il palco di essere ogni luogo, spazio metafisico e simbolico, non schiavo dei dettami della verosimiglianza che il cinema invece si trova generalmente ad avere per la sua vocazione mimetica. Così, nel film, lo spazio in cui si svolge la storia è uno spazio fondante dove si gioca il dramma senza tempo e senza contesto di Salomé, la discoteca diventa un travestimento dello spazio generativo della recita.
A un altro livello di lettura il film apre un discorso metacinematografico. Lo spazio sembra quello di un immaginario film “peplum” anni ’60. Un altro piano della rappresentazione: i personaggi sembrano attori del film che stiamo vedendo; il luogo, allestito come quell’ipotetico set, diventa il set vero del film che stiamo vedendo. Senza esplicitare carrelli e telecamere, questo metadiscorso serpeggia in nuce, come un sottotesto.
Completa il quadro di questa sfarzosa e complessa messinscena lo splendido lavoro sulle luci, insalubri e mistiche, irreali, sanguigne, e la scenografia di Antonello Geleng e Mario Fontana, fondamentale in un tale discorso sullo spazio.

Una storia di sguardi negati, sguardi che si pagano. Sirio ed Erode pagano il loro su Salomé, Giovanni paga quello sguardo non concesso. Salomé (Carolina Felline) attraversa queste traiettorie degli sguardi, concupita e a sua volta arsa dal desiderio. Figura impalpabile, bianca come la luna di cui invidia la castità, Salomé è un’apparizione nel delirio di carne che si agita nella discoteca. I corpi delle ballerine, le prostitute che tra tende rosse vestono Erode nello sfolgorante inizio, uomini e donne che si toccano e s’inseguono. Lei resta un riflesso sull’acqua in mezzo a questa lussuria, fino a quando, per il suo desiderio - desiderio di morte -, non danzerà per il patrigno Erode. Una splendida scena in cui Salomé acquista un corpo e una femminilità, si incarna, e la sua danza racconta anche l’abbandono dell’innocenza: Salomé si sveste dei veli che la coprono e mostra il corpo, bianco, alieno e femmineo; in una sequenza convulsa le sovraimpressioni diventano i veli che lei si toglie.
Un’efficace rivisitazione del classico. Sestieri dà vita ad un discorso complesso ed appassionante sul rapporto tra cinema e letteratura, trasponendo sullo schermo il respiro eterno della tragedia.

(Chiamami Salomé) Regia e sceneggiatura: Claudio Sestieri; fotografia: Marco Onorato; montaggio: Claudio Di Mauro; musica: Luigi G. Ceccarelli; scenografia: Antonello Geleng, Mario Fontana; costumi: Lia Morandini e Stefania Svizzeretto; interpreti: Ernesto Mahieux (Erode), Carolina Felline (Salomé), Caterina Vertova (Erodiade), Elio Germano (Giovanni), Genti Kame (Sirio); produzione: Pietro Innocenti; origine: Italia, 2006; durata: 95’


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