Salvo

La sfida non è nel trovare le parole giuste per raccontarne la storia, ma nel riuscire ad esprimere la scelta, insieme estetica e narrativa, alla base di Salvo. Il lungometraggio d’esordio di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, vincitore del Gran Prix e del Prix Révélation della Semaine de la critique al recente Festival di Cannes, gioca con i generi – su tutti il noir – trasfigurandone spesso le caratteristiche fondanti, per arrivare ad uno stile del tutto personale, in cui l’immagine diviene la prima depositaria del senso dell’intero film.
Tutto ciò che concorre alla costruzione dell’inquadratura, dalla luce al suono, è intimamente legato al racconto di due solitudini che, prima di abbracciarsi, sono inevitabilmente costrette a scontrarsi e a lottare tra loro. Da un lato Rita, che il mondo non l’ha mai visto perché cieca dalla nascita, dall’altro Salvo, killer di mafia, che dello stesso mondo conosce solo i margini e in essi riesce a malapena a sentirsi al sicuro. Il miracolo che porta Rita ad abbandonare la sua cecità non ha nulla di mistico. Sembra quasi una naturale evoluzione del trauma che conduce alla nascita della relazione tra i due personaggi, abituati entrambi, pur se in maniera differente, a convivere con l’oscurità.
Il film si appropria da subito della capacità, che ha solo il cinema, di raccontare con lo sguardo ancora prima che con la parola. Osservare ed ascoltare – lasciando liberi i sensi di scovare da soli la giusta direzione da seguire – diviene decisivo per capire e carpire stati d’animo, personalità e, almeno in parte, anche il destino dei personaggi. I movimenti che la macchina compie, eleganti nei molteplici piano sequenza che scandiscono il prologo, geometrici e chirurgici nel delimitare spazio e luce, anticipano ciò che poi la narrazione renderà palese.
La visione di Salvo libera dalla necessità di concentrarsi sul rapporto tra cause ed effetti, perché ciò che importa per la comprensione della storia è reso immediatamente visibile. Basta sapersi affidare ai propri occhi. Difficile trovare oggi un film italiano in grado di mostrare una personalità così decisa, di affascinare da subito anche grazie a dissonanze con cui è necessario quasi entrare in conflitto per accettarne e capirne la presenza. La fotografia di Daniele Ciprì possiede in egual misura la forza e le debolezze dei personaggi interpretati con delicata intensità da Sara Serraiocco e da Saleh Bakri. Si crea così una corrispondenza sinuosa tra quello che lo schermo restituisce e i tanti "non detti" su cui si basa l’anima dei protagonisti.
Poi c’è Palermo. Palermo che si trasfigura in un luogo "altro", quasi priva di una sua dimensione realistica. Facile da riconoscere però per chi la abita o per chi, anche solo per un istante, ne è rimasto affascinato. Una città in cui la libertà a volte si scorge senza poterla raggiungere pienamente, proprio come quello scorcio di mare che si intravede alla fine del muro di cinta della casa di Rita.
Non stupisce troppo, allora, che il mercato estero abbia accolto facilmente la proposta di cinema di Grassadonia e Piazza, mentre quello italiano si sia prima voluto interrogare sulla natura assolutamente non didascalica del film. Il fatto che Salvo abbia trovato la dignità della sala anche nel nostro paese forse indica che c’è ancora la voglia di scommettere – i produttori lo hanno già dimostrato con coraggio e bravura – su un tipo di cinema capace di non sottrarre allo spettatore la possibilità di una visione partecipata e attiva, in cui non tutti i perché devono ad ogni costo trovare una facile risposta.
(Salvo); Regia e sceneggiatura: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza; fotografia: Daniele Ciprì; montaggio: Desideria Rayner; scenografia: Marco Dentici; interpreti: Saleh Bakri (Salvo), Sara Serraiocco (Rita), Luigi Lo Cascio (Enzo Puleo), Mario Pupella (Boss), Giuditta Perreira (Mimma Puleo); produzione: Acaba Produzioni, Cristaldi Pictures; distribuzione: Good Films; origine: Italia, 2013; durata: 104’;
