SANGUE - LA MORTE NON ESISTE

Nel panorama cinematografico italiano a cui siamo purtroppo abituati, dove la stragrande maggioranza delle pellicole è infarcita di buonismo, di timidezza narratologica e di incapacità ad uscire dai confini - estetici e concettuali - del provincialismo, a vedere un film come questo, che finalmente dove pecca lo fa senza timore in eccesso, vien voglia di difenderlo comunque, forse anche oltre i propri effettivi meriti.
Lo squilibrio più evidente di Sangue è quello di essere fondamentalmente due storie in una, tra loro antitetiche, dove alla linearità si sostituisce come nemesi necessaria il kaos; nella prima parte del film assistiamo all’emozione dura e compatta di una storia d’amore impossibile, perché la determinata Stella ed il fragile, confuso Iuri sono fratelli. La densità di questo sentimento sembra compattare incredibilmente il racconto e la realizzazione filmica: De Rienzo sceglie giustamente di stare attaccato ai volti ed ai corpi dei due protagonisti, che riescono a sprigionare un’energia coinvolgente: anche se sussurrato, o meglio urlato senza voce, l’amore disperato di Iuri per Stella (e quello più contratto ma non meno forte di lei per il fratello) si esplicita attraverso tutta una serie di gesti, di sguardi, di azioni rivelatrici, dove la vera testimonianza è quella del non detto. Quando al termine della festa lui la attacca con l’urgenza fisica di una richiesta primaria: “Dimmi che mi ami!”, la semplicità e la verità del personaggio arriva dritta al cuore. Grazie anche alla bellissima fotografia di Francesco Di Giacomo, la metà iniziale di Sangue si segnala come opera visivamente preziosa, ricca di spunti cromatici e di fonti luminose, a cui De Rienzo sovrappone una regia molto equilibrata ed una perfetta direzione d’attori. Elio Germano ed Emanuela Barilozzi regalano infatti ai rispettivi ruoli una veridicità fisica ed emozionale molto precisa, dove la bravura d’attore e l’adesione al ruolo si fondono con pienezza.
Detto della prima storia, quella più toccante e se vogliamo a suo modo intimista, si passa poi alla seconda parte di Sangue, che racconta invece di una presa di coscienza, di un processo di liberazione dai propri vincoli e dalle proprie paure (quindi da se stessi?). Volendo probabilmente raccontare e testimoniare più di quanto un qualsiasi lungometraggio avrebbe potuto contenere, De Rienzo lascia che la sua opera “esploda” in mille direzioni, sia visive che narrative. Dove il discorso ideologico a tratti sembra confondersi in molti atti di (doverosa e sincera) protesta, arriva a sostegno la vibrante potenza di una serie di sequenze la cui messa in scena ribadisce il talento visivo di “Picchio”. Dovendo effettuare una valutazione prettamente filmica, diremmo allora che Sangue perde il controllo del racconto cinematografico, e si sgretola in una serie di citazioni, rimandi, approcci che non hanno un vero e proprio centro catalizzatore; superfluo cercare di esplicitare tutti i riferimenti socio-politici ed i discorsi estetici che con cui l’autore vuole investire l’occhio dello spettatore. Eppure, in mezzo a questa confusione che vuole essere programmatica, rimane comunque semplice seguire in maniera empatica le gesta comico/grottesche dei personaggi in scena, anche quando non ci si può reggere su una struttura narrativa che ne evidenzi un qualsiasi percorso lineare: purtroppo il personaggio di Stella ad viene lasciato cadere in secondo piano, e questo è un vero peccato. All’equilibrio della prima metà di Sangue succede dunque una sorta di “calderone mediatico” in cui suono, immagine e colore sembrano susseguirsi in piena (troppa?) libertà. Ciò che però tiene coeso il tutto è la maiuscola prova d’attore e d’istrione di Elio Germano, capace di caricarsi Sangue sulle spalle, sulle braccia, sul volto rabbioso, e portarlo al suo inevitabile compimento.
Tentando di trovare un significato alla cesura che spezza la pellicola in due - e che ha il volto proprio di De Rienzo, riservatosi un cameo tanto apparentemente stralunato quanto invece rivelatorio - l’interpretazione più logica sembra quella che vorrebbe le due “dimensioni filmiche” di questo lungometraggio tentare di adeguarsi alle rispettive vicende: e così la storia d’amore trova la sua giusta espressione filmica nell’equilibrio instabile ma comunque presente che riesce a generare in Iuri, mentre la sua successiva presa di coscienza passa attraverso la confusione, lo squilibrio, i tentativi che vanno in ogni direzione possibile. Se questa era l’idea dell’autore invece che soltanto una nostra psicotica elucubrazione, tanto di cappello a De Rienzo.
Accaldato, motivato, a tratti prezioso, Sangue viene distribuito nella settimana d’apertura in 8 copie in tutta Italia. Perché punire in questo modo un tipo di cinema che ha il coraggio di rischiare anche a costo di sbagliare, ma sempre sulla propria pelle? Per quanto può valere, e soprattutto se serve a qualcosa, io mi schiero con questo film.
Regia e sceneggiatura: Libero De Rienzo; fotografia: Francesco Di Giacomo; montaggio: Libero De Rienzo; scenografia e costumi: Luisa Iemma; musiche originali: Giardini di Mirò; interpreti: Elio Germano (Iuri), Emanuela Barilozzi (Stella), Luca Lionello (Bruno), Libero De Rienzo (Adrian); prodotto da: Roberto Buttafarro, Valentina Pozzi & L.D.R.; distribuito da: Mikado; durata: 104’.
