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Sanguepazzo

Pubblicato il 26 maggio 2008 da Edoardo Zaccagnini


Sanguepazzo

Sanguepazzo è un film di sentimenti, Storia italiana e Storia del cinema. C’è di nuovo la "Liberazione", con il colore e il suono del filmato di repertorio che ribadisce le verità storiche, e tenta disperatamente di salvare il Passato (con la P maiuscola) dall’oblio di un giovane paese che mentre consuma non sa bene nemmeno chi sia stato Aldo Moro.Sanguepazzo prova a ricordare alcuni dei passaggi fondamentali della nostra Storia recente. Non si può di certo accusarlo di aver complicato la narrazione con guizzi autoriali e tecniche di linguaggio moderne e troppo colte. Si può rimproverargli il contrario. Di averlo fatto, cioè, con elegante piattezza televisiva e con una lunghezza eccessiva di parole, amori dolorosi e tempo.
Per non far scomparire un passato, già di per sè molto lontano, e per omaggiare la storia del cinema italiano, Marco Tullio Giordana pone un uomo e una donna speciali al centro del film. Li fa correre su e giù tra paradiso ed inferi. Li fa brillare come stelle e poi li fa morire, uccisi alle spalle, per mano della Storia. Sia chiaro, non inventa nulla, se non il personaggio di un regista omosessuale che, nei panni di Alessio Boni, prova a contestare il regime con le sue idee ed il suo cinema personale. Giordana trasforma in racconto tutto ciò che la storia ha già scritto, e non tenta di interpretare le pagine bianche che il passato non è riuscito a riempire di sentenze.
Di Ferida e Valenti, realmente amanti nella vita, il regista non riesce a restituire, come avrebbe voluto (e potuto), le coinvolgenti conseguenze interiori dell’amore, delle lacrime e del sangue. Ce ne mostra precisamente le tappe, i crocevia e la sorte, felice e infame, impastata con quegli anni tragici, bellici e feroci. Li fa interagire con personaggi ingombranti come il principe Publio Valerio Borghese e Pietro Koch, sui quali, però, Giordana prefersice non calcare la mano. Del resto il film non è loro ma della grande coppia di attori.

Italia, 1945. Il paese sta per essere liberato. La nazione è divisa tra fascisti e partigiani. Gli americani salgono; i tedeschi continuano la loro guerra. Non c’è la fotografia de Il partigiano Johnny, (di Guido Chiesa) e nemmeno la sperimentazione efficacissima del primo Gaglianone (I Nostri anni). Non c’è la potenza comunicativa di Achtung Banditi (di Carlo Lizzani) e nemmeno quel rapporto tra pubblico e privato de La ragazza di Bube (Luigi Comencini). Manca la centralità storico politica che caratterizzava un film come Il terrorista (di Gianfranco De Bosio) e non c’è nemmeno la realizzazione di una biografia di razza.
C’è una linearità da pullman contrastata solamente da qualche innocuo flashback, da qualche scena forte (il partigiano morto nella laguna di Venezia), da qualche aberrante ammazzamento (lo stupro e l’uccisione della ragazza del casolare) e dall’esposizione corretta, e un pò noiosa, di due privati super extraquotidiani. I colori e la scenografia sono quelli della prima serata. I volti anche, intesi come somma espressiva ed uso della mimica. Le interpretazioni avvengono con professionalità e qualche giravolta ma non restano memorabili. A tratti nemmeno incisive. Idem per i suoni e per i dialoghi. Inflazionati i primi, scolastici i secondi.
Chi corre dentro al film è una coppia di attori italiani. Precedenti ai “mostri”, alle dive mamme degli anni ’50, ai registi neorealisti, alla grande commedia, al cinema degli autori, dell’incomunicabilità, dell’autobiografismo riflessivo. Osvaldo Valenti e Luisa Ferida: tanto sconosciuti oggi quanto famosi ed importanti ai tempi del regime. Persone nate più di cento anni fa e lontane dal presente ancor di più di un secolo.
Storia del cinema 1, per gli appassionati. Volti che non tornano mai nella nostra disgraziata televisione, e che non riempiono nemmeno le sale nascoste dei cinema d’essai. Il cinema italiano sembra averli perduti, emblemi di un cinema (politico) della rimozione, dell’italianizzazione e dell’intrattenimento. I primi divi della storia del cinema italiano. Preziosi per ripassare i “telefoni bianchi” e il cinema storico e mitologico tanto amato dal Fascismo. Valenti e Ferida sono due personaggi che il cinema italiano non aveva mai raccontato. Per questo il regista de I cento passi e La meglio Gioventù ha fatto bene a metterli in scena. Esiste un cinema perfetto per essere tagliuzzato in frammenti da riutilizzare come copertura di un documentario storico, a tema.

Preso a piccole dosi, per scene chiare e didascaliche, Sanguepazzo può tornare utile per raccontare la storia del cinema italiano. Sono da mettere in memoria alcune battute, alcune sequenze. Si mostra chiaramente com’erano i titoli allora e quali film si giravano all’epoca. Viene raccontato il trasferimento di Cinecittà a Venezia, e quanto sia stato difficile, e fondamentale, ad un certo momento “girare” a Roma. (La trovata sulla gag di Roma città aperta sarebbe stata deliziosa se realizzata con più piglio ed estrosità. Con l’esecuzione messa in atto dai realizzatori rimane un omaggio po’ telefonato e una citazione soltanto carina). E’ necessario un film su Osvaldo Valenti e Luisa Ferida? E’ necessario soprattutto per il recupero della memoria cinematografica. Il paese, in questo momento, potrebbe farne anche a meno. Soprattutto perché il suo cinema, proprio in questi giorni di fine primavera, gli offre la rara possibilità di un cinema che sia politico e al tempo stesso validissimo nello specifico filmico. Parliamo di Gomorra e de Il divo, (appena premiati a Cannes con il premio speciale della Giuria) ma anche del film di Francesco Munzi, Il resto della notte.
Sanguepazzo guarda indietro e lontano. A nostro giudizio non cerca nessun legame col presente e rende omaggio soprattutto al passato. Lo aveva fatto già ai tempi de La Meglio gioventù, ma allora ebbe l’intelligenza di lavorare sul tempo della storia come il cinema italiano non faceva dai tempi di C’eravamo tanto amati. Giordana era stato bravo a pizzicare le corde intime del nostro passato recente e lo aveva reso quasi epico, interessante, affascinante e leggero da seguire. Aveva scelto colori luminosi, paesaggi vivi, suggestivi e volti nuovi, gli stessi che oggi ripropone quasi per dovere e senza molto senso, in alcuni cammei poco incisivi. Aveva raccontato una storia giovane ed inconsueta nel panorama nazionale. La meglio gioventù aveva aperto un filone, aveva segnato l’inizio della possibilità di una riflessione sul passato italiano "nuovo".
Oggi Giordana, con un progetto nato trent’anni prima con Leone Colonna, sceglie il romanzo storico in costume ma non riesce a tradurlo in emozioni profonde per chi guarda. Sanguepazzo verrà ricordato come il primo film, può darsi l’unico, sui divi del cinema italiano Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Accontentarsi si, complimentarsi no.


CAST & CREDITS

(Sanguepazzo); Regia: Marco Tullio Giordana; sceneggiatura: Marco Tullio Giordana, Leone Colonna, Enzo Ungari, fotografia: Roberto Forza; montaggio: Roberto Missiroli; intrerpreti: Luca Zingaretti, Monica Bellucci, Alessio Boni, produzione: Angelo Barbagallo, BI. BI. Film, Paradis Film, Orly Films in collaborazione con Rai Cinema, Canal plus; distribuzione: 01distribution; origine: Italia, 2008


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