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SATURNO CONTRO

Pubblicato il 25 febbraio 2007 da Edoardo Zaccagnini


SATURNO CONTRO

Ad affacciarsi sul film da una finestra, fermandosi a guardare il paesaggio, sembrerebbe di stare dalle parti di Muccino: non si scorge nessuna partecipazione alle cose pubbliche; spuntano il verde e il bianco delle ville da week end; si respira l’angoscia esistenziale alimentata da un conto in banca piuttosto robusto. Rimangono, incantetvoli e spalancati, gli appartamenti nel cuore della città, le lucide auto da Product Placement, dentro cui fermarsi a riflettere nel momento più delicato, prima dell’ardua decisione. Scorrono piacevoli i maglioni, le professioni e le camicie buone, le crisi di alto livello e le parole condivisibili. Eccola, dalla finestra di Ozpetek, la solita vecchia Roma senza presente istituzionale, colorata e calma, sempre privata e a portata di mano. Mucciniana ma anche Cristincomenciniana, tavarelliana, soltognazziana, tardoverdoninana, veronesiana. Ma a scendere di sotto per due passi a piedi, per due chacchiere coi paesani di Saturno Contro, l’universo interiore ed estetico che ci mostrano gli abitanti della pellicola, ci appare più lavorato, approfondito, scavato, spiegato, incorniciato, intimo. Più suggestivo e a tratti affascinante di altre reiterate esperienze ombelicali. Gli amici di Ferzan, perché di amici questo cinema ci parla, sono dei borghesi antiborghesi. Talmente dopo la rivoluzione, che sono tornati ad un nuovo prima. Belli, bravi, onesti e fragili. Chiusi in tutto quello che si può comprare e da questa prigione intenti a salvarsi la pelle. E a salvarla alle persone che amano. Tutti in buona fede, sensuali e pieni di difetti, nonostante uno scalpello punti da tempo ad eliminare il calcare dell’educazione, del retaggio culturale, delle falle personali. La loro scorza inestinguibile è fonte di irritazione e di sofferenza ma è pure lo zoccolo duro del rispetto per se stessi, dell’amore verso un corpo che comprende pancia e testa. E che solo se ascoltato e coccolato sa donare amore agli altri. In ciò lo smarrimento dei personaggi ozpekiani, figlio della personalità dell’autore, sembra sincero e piuttosto adulto, non solo perché sono più grandi i quarantenni di Saturno contro, in confronto ai trentenni ormai cristallizzati dell’ex regista di Roma Prati. Anche i ragazzi di Non prendere impegni stasera erano di quarto decennio inoltrato. Ma è la quantità e la qualità del tempo speso dietro a se stessi che è differente. Forse perché nell’universo gay le battaglie sono sempre più dolorose e radicali di quelle combattute contro i padri sessantottini, morbidi, distratti e ben posizionati.
L’analisi impietosa, articolata, convincente, seccamente definitiva e più che discretamente sintetizzata in una battuta chiusa e concreta, sono la cifra che distingue questo film di Ozpetek da altri dal comune aspetto fisico ma dalla personalità diversa: figlia, anch’essa, di quella di chi li ha voluti, progettati ed eseguiti. Dai a tutti lo stesso compito ed ognuno lo farà a modo suo: nasceranno i più bravi e i meno bravi. Anche Ozpetek, sia chiaro, parla del suo mondo, delle sue vie e delle sue serate. Non c’è dubbio. Ma non si può considerarlo necessariamente e sempre un limite discriminante. Tolstoj diceva: “Parla del tuo Paese, sarai universale”. Ozpetek non parla del suo Paese, e nemmeno del suo quartiere che mette sempre come quinta: parla di casa sua, piena di luce e di voglia di vivere. Ci racconta del cibo come termometro di stati d’animo, del suo umano bisogno d’amore, del cinema che ama, dei suoi modi di affrontare gli argomenti e le relazioni. Ma il suo monologo corale getta una pietra silenziosa, ed un pizzico deflagrante, sull’ipocrisia della famiglia benestante. Senza essere Bellocchio e senza volerlo essere. La sua ormai classica pittura di figure baccanti e dignitose segna la direzione verso l’ufficialità dell’amicizia come sostituto scelto, e non come surrogato, della famiglia di sangue.
In questo sta il rapporto del film con il presente e con il paese: si può scegliere con chi stare, con chi dividere, con chi mangiare, con chi parlare e con chi piangere. Si può decidere chi amare e chi dimenticare. Si può chiudere, come fanno molti italiani, la porta in faccia al paese e dire “fate voi, non abbiamo né la forza né la voglia di combattervi o di starvi a sentire”. Nelle quattro confortevoli mura dell’ostiense, o del circeo, va in scena uno spaccato di cuori stravaganti e paradigmatici, figli della natura umana e di questo momento storico nazionale. Non è difficile credere a quello che ci dicono Accorsi e la Buy, Favino e il bravo Argentero, gli straordinari Fantastichini ed Angiolini. Non perché si mettano a spiegarci chissà cosa, meravigliandoci come alunni di fronte al docente stimato, ma perché danno a noi la sensazione di essere di fronte a carne ed ossa gradevoli e stimabili. Questo perché, bravo Ozpetek, il regista mette in mano e in bocca ai suoi attori-personaggi manciatine di empatia da gettare a piccole e costanti dosi sullo spettatore. Al resto pensa lui: cucina il film con spezie musicali e salse pittoriche, mescola le immagini e i registri da talentuoso artigiano e il buon prodotto è fatto. 430 copie e via, per gli italiani c’è da godere con gli occhi e abbandonarsi all’emozione. Nutrirsi del buon senso ricavato dai dialoghi efficaci e fare del turco un regista di trasversale riferimento. Buono per chi produce e per chi paga. Film vivo e mansueto, buon comunicatore di cose nell’aria.
Niente di rivoluzionario.

[Febbraio 2007]


CAST & CREDITS

Regia: Ferzan Ozpetek; sceneggiatura: Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek, fotografia: Gian Filippo Corticelli; montaggio: Patrizio Marone Shore, musica: Neffa; interpreti: Serra Yilmaz (Neval), Lunetta Savino (Minnie), Ambra Angiolini (Roberta), Isabella Ferrari (Laura), Margherita Buy (Angelica), Stefano Accorsi (Antonio), Pierfrancesco Favino (Davide), Milena Vukotic (Capo infermiera), Luca Argentero (Lorenzo), Filippo Timi (Roberto); produzione: Tilde Corsi e Gianni Romoli; distribuzione: Medusa; origine: Italia, 2007


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