Schermi d’amore 2008 - Intervista a Valentina Lodovini

Abbiamo incontrato Valentina Lodovini a Verona dove è la madrina della dodicesima edizione di Schermi d’amore. La scelta degli organizzatori del festival è caduta su di lei per l’intensa interpretazione di Mara ne La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, il film che l’ha fatta conoscere al grande pubblico e che le è valsa una nomination ai prossimi David di Donatello.
Disponibile e sorridente, Valentina ci racconta con entusiasmo il suo percorso artistico e il rapporto con il cinema italiano
Si dice sempre che il cinema italiano è in crisi, è un ritornello costante della nostra critica dal Neorealismo in poi…eppure negli ultimi anni abbiamo visto nuove generazioni di attori venire alla ribalta in storie importanti, come è accaduto a te con La giusta distanza. Quanto è difficile per un attore esordiente riuscire a lavorare, a entrare in un ambiente che spesso, soprattutto in passato, era molto chiuso? Credi che si possa parlare di giovane cinema italiano?
Mi pare che ci sia un timido risveglio. Siamo tanti e ci sono pochi ruoli per cui sicuramente è difficile, ma non impossibile. E’ vero che ci sono molti bravissimi attori che non lavorano per cui non si può parlare di una situazione rosea ma è anche vero che qualcosa si sta muovendo. C’è bisogno di diversità e forse adesso si sta iniziando a capirlo, quindi si cercano nuove facce laddove prima si puntava sul nome sicuro.
Io mi sento estremamente privilegiata perché i ruoli che mi sono stati offerti erano estremamente distanti tra loro e tutti molto ben strutturati quindi ho avuto l’opportunità di confrontarmi con personaggi diversi ma sempre intensi (oltre a La giusta distanza ricordiamo anche la giovane infermiera sposata con Luca Argentero in A casa nostra di Francesca Comenicini, ndr). Ecco, se c’è una cosa che ritengo sia importante per dare linfa vitale al nostro cinema è proprio una costante diversificazione delle storie e dei personaggi, il cinema ha bisogno di spaziare, di esplorare mondi sempre nuovi.
Tu hai lavorato anche in tv, nella fiction 48 ore diretta da Eros Puglielli e ora sei reduce dal set di Coco Chanel, una produzione francese, italiana e statunitense sulla vita della grande stilista francese e in cui hai lavorato accanto a divi di fama mondiale come Malcolm Mc Dowell e Shirley Mc Lane. Qual è il tuo rapporto con la televisione e com’è stato per te questo incontro con attori che hanno davvero fatto la storia del cinema?
Io non molto amo la lunga serialità, neanche quella di ottima fattura. Però, è lo dico sia come donna che come attrice, la televisione è stimolante perché offre tanti ruoli femminili estremamente interessanti, cosa che non accade spesso al cinema e neanche a teatro. Per cui dipende come si fa la televisione, perché è anche un mezzo meraviglioso, che fa parte della nostra vita, delle famiglie stesse, l’unica critica che mi sento di muovere è che spesso molti programmi sono realizzati con pressappochismo e questo mi sembra una mancanza di rispetto nei confronti del pubblico.
Ma ben venga la molteplicità delle offerte, la realizzazione di prodotti di buon livello, perché ci sono. Non è vero che in tv non si può scegliere, che ci sono solo i reality. Io vengo proprio ora dal set di Coco Chanel, che è stata un’esperienza meravigliosa e non so se l’avrei vissuta se non fosse stato per la televisione. Quindi direi che l’importante non è il mezzo ma fare le cose con coscienza.
L’incontro con Malcom Mc Dowell e Shirley Mc Lane è stato ovviamente emozionante! Io non recitavo insieme a loro perché interpretiamo gli stessi personaggi in età diverse e all’inizio non sapevo nemmeno che la Mc Lane facesse parte del cast, lo sapevano tutti tranne me, per cui quando un giorno in camerino mi sono improvvisamente trovata davanti questa donna bellissima, quasi spirituale sono rimasta letteralmente senza fiato!
Quando hai la fortuna di veder recitare simili interpreti impari tantissimo, vale praticamente quanto un anno di centro sperimentale! Perché hanno un qualcosa che non si può spiegare, in alcuni momenti usano la tecnica, il mestiere d’attore, in altri momenti, quando si lasciano andare all’improvvisazione, non capisci nemmeno come facciano ad ottenere certi risultati, è pura magia.
Malcolm Mc Dowell è una persona dolcissima e gentile, eppure io non potevo fare a meno di pensare all’Alex di Arancia Meccanica. E la cosa imbarazzante e allo stesso tempo divertente è che lui se ne è accorto: una volta stavamo parlando e nonostante sia invecchiato gli occhi sono sempre gli stessi, quegli occhi grandi, di un azzurro magnetico. Ma io me lo immaginavo con la spranga in mano a cantare Singin’ in the rain e lui mi ha detto ‘Stai pensando ad Arancia Meccanica!’, io ho negato ma sono diventata viola e lui ha risposto ’Sì stai proprio pensando ad Arancia Meccanica!’ Chissà, forse mi avrà odiato!
Tornando al cinema italiano, cosa pensi di questo recente interesse delle produzioni per le ambientazioni di provincia, con conseguente spostamento dei set dalle grandi città come Milano o Roma, alle piccole cittadine del nord est come è stato per i due grandi successi italiani dell’anno, La giusta distanza e La ragazza del lago di Andrea Molaioli?Che rapporto si crea tra gli abitanti del luogo e la troupe?
E’ vero, è un fenomeno interessante. Credo che spesso dipenda dal tipo di storia da raccontare. Alcune si possono ambientare ovunque, in altre il contesto è determinante. Ne La giusta distanza, ad esempio, il paese è protagonista quanto Mara. Poi penso che si parta dalla provincia per raccontare l’intero Paese, nel film di Mazzacurati la piccola realtà catalizzava bene i sentimenti di paura e diffidenza. Mi fa molto piacere che il nostro cinema riscopra i piccoli contesti regionali perchè aiutano a capire com’è davvero l’Italia assai meglio delle metropoli dove tutto per forza di cose è falsato. E poi io sono molto attaccata alla provincia essendo nata e cresciuta a San Sepolcro, vicino ad Arezzo, e raccontare questo mondo oltre a farmi piacere mi è anche congeniale.
Il cinema è arte ma è anche e soprattutto artigianato. E’ bello portare il cinematografo, come si diceva una volta, in posti dove questo mondo appare tanto lontano. Ed è un’esperienza sicuramente importante collaborare con la gente, che finisce per essere coinvolta nel progetto. _ Sergio Leone chiedeva addirittura di spostare dei lampioni per ottenere la giusta inquadratura e gli abitanti erano disposti a farlo, il cinema può essere un ottimo collante.
Ti è mai capitato di aggiungere al tuo personaggio qualcosa di non previsto ma che hai catturato osservando gli abitanti locali?
Osservare e conoscere le persone che in qualche modo sei chiamato a rappresentare è un’esperienza assai utile e importante per un interprete. Ti aiuta a trovare un modo di camminare o di parlare che pur essendo frutto di una tua emozione o riflessione appartiene però a quel mondo. Ne La giusta distanza, la scena in cui Mara scende dal bus e saluta sorridente la caratterizza subito come una persona solare e calda. Io in quel momento ero realmente circondata da gente che mi salutava e dal momento che non dovevo guardare in macchina ma volgere il mio sguardo intorno, contraccambiavo i loro saluti, cosa che poi è finita nel film, anche perché funzionava molto bene a livello drammaturgico per delineare il carattere della protagonista.
Come ti rapporti di solito ai tuoi personaggi? Come lavori per costruirne il carattere?
Dipende…mi piace molto variare, anzi ne ho bisogno. L’unica cosa che faccio sempre, ma non chiedetemi il motivo perché non lo so, è leggere la sceneggiatura cinque volte, qualunque essa sia. Dopo di che a seconda del ruolo o mi butto e arrivo sul set senza conoscere nemmeno la scena da girare, oppure cerco di immergermi nel personaggio, vivendo la sua vita come ho fatto per l’infermiera di A casa nostra. Ho seguito per un po’ il personale del reparto di rianimazione ed è inutile dire quanto sia stata intensa come esperienza. Volevo capire che tipo di vita fosse, quali i ritmi, quali gli orari e soprattutto le emozioni che si provano a vedere quotidianamente certe scene. Perché avevo bisogno di comprendere la sua scelta e il suo attaccamento a questa professione…Non ho ancora scelto un unico modo di interpretare un ruolo e non voglio farlo, il bello del cinema sta nella molteplicità di storie e personaggi e non credo esista un unico modo di raccontarli...
