Schermi d’amore 2008 - The Walker

Se ciò che distingue un autore da un mestierante è una precisa scelta tematica, declinata in forme diverse ma sempre costante, che si fa vera e propria ossessione, il cinema di Paul Schrader è da leggere all’insegna di un’autorialità lucida e coerente, tanto teorica e razionale da oscurare spesso la stessa messa in scena.
La sua intera filmografia è un corpus unico e compatto e le sue pellicole, sia in veste di sceneggiatore che di regista, non raccontano altro se non l’uomo alle prese con un dissidio morale sempre lacerante, sempre assoluto. Sia che guidi un taxi o faccia il gigolo, sia che spacci droga o che interpreti fuori tempo massimo il ruolo del dandy wildiano, il personaggio schraderiano è sempre lacerato interiormente dallo scarto tra ciò che il mondo lo costringe ad essere e ciò che aspira ad essere.
The Walker non fa eccezione. Carter Page III (uno straordinario Woody Harrelson) non è dissimile dai Travis Bickle, Julian Kay o John La Tour che hanno ispirato la trilogia concettuale Un uomo e la sua stanza e anche lui, come loro, è un personaggio errante (lo chiarisce lo stesso titolo) un uomo che passa la sua giornata ad accompagnare ricche signore annoiate della Washington bene nei loro oziosi e viziosi passatempi. Un dandy annoiato che frequenta un mondo marcio perché convinto di meritarlo. E’ un altro personaggio fallen from grace, che ha bisogno di scendere negli inferi per ritrovare la speranza: ’quale percorso ho dovuto fare per arrivare sino a te’, diceva Julian nel finale di American Gigolo, e allo stesso modo si rivolgeva a Jeanne il borsaiolo Michel del Pickpocket di Bresson, cineasta a cui Schrader ha sempre guardato come imprescindibile modello registico e riferimento teorico.
Questo ulteriore capitolo della personale poetica di Schrader si maschera da thriller, così come era stato per American Gigolo, a cui la vicenda si richiama più di una volta, ma l’intrigo politico, l’America sotto controllo post 11 settembre, non sono mai davvero il centro della pellicola, non sono mai davvero nei pensieri dell’autore. Così come non lo è l’omosessualità del protagonista, se non nella misura in cui palesa l’estraneità di Carter al mondo in cui egli stesso si costringe a vivere, e il suo continuo dissimulare, alla maschera indossata quotidianamente come la parrucca con cui nasconde la calvizie.
Il film esplicita con il suo stesso meccanismo narrativo la finzione del protagonista, simula un genere che non gli appartiene, che non gli interessa, mentre esplora la caduta di un uomo e della sua anima e infine la sua liberazione, la resurrezione. Lo spiritualismo laico di Schrader è qui più vivo che mai e il suo cinema, che si nutre di conflitti morali nella coscienza di uomini che il mondo e loro stessi considerano amorali, trova nuovo slancio nella parabola di questo ultimo antieroe costretto a scegliere tra l’essere sleale e essere disonesto, tra l’etica e la morale.
L’ambiente sociale, termine di confronto indispensabile per l’individuo e l’immagine di sé, assume qui le fattezze del glaciale mondo politico di Washington D.C., che non è mai una città reale, fatta di luoghi aperti, ma soltanto di claustrofobici salotti colmi di broccati e ori, un luogo quindi evanescente, proiezione della psiche dei personaggi, prigione elegante e sontuosa ma alienante e opprimente al pari della New York notturna e inondata di rifiuti in cui si muovevano i protagonisti di Al di là della vita e Lo spacciatore.
In perenne movimento, un errare continuo e senza meta a bordo del taxi, dell’ambulanza o di più prestigiose automobili, i personaggi di Paul Schrader sono condannati a vagare ai margini di un mondo che non riescono a penetrare o dal quale vorrebbero fuggire, sempre soli all’interno di veicoli che ne sottolineano la solitudine ineluttabile da cui l’autore è ossessionato dai tempi di Taxi Driver :‘la solitudine mi ha accompagnato per tutta la vita’ faceva dire allora Schrader a De Niro nell’epocale pellicola di Scorsese.
Con il tempo l’individuo sempre rappresentato nei suoi film smette di lottare, di cercare una ribellione violenta al marciume che lo circonda. Carter Page III non uccide più e la sua rivalsa è sempre all’insegna della buona educazione, di quell’aria blasé che non lo abbandona mai ‘era la risposta di mia madre al caos e ora è la mia’. Anche Paul Schrader cerca ancora una risposta al caos e la sua reazione, come quella di Carter, sta nella raffinatezza, nel lavorare defilato e sottotono in una pellicola per palati fini che non promette grandi incassi. Di certo, anche Schrader sa bene che – come dice uno dei personaggi – ‘questi radicalismi non piacciono, quello che la gente vuole è solo una buona storia americana’
(The Walker); Regia, soggetto e sceneggiatura: Paul Schrader; fotografia: Chris Seager; montaggio: Julian Rodd; musiche: Ann Dudley; interpreti: Woody Harrelson (Cater Page III), Kristin Scott Thomas (Lynn), Lauren Bacall (Natalie Van Miter); produzione: Kintop Pictures; origine: Usa, 2007; durata: 107’
