Semina il vento - Berlino 2020
Dopo tre anni Nica, studentessa poco più che ventenne di agronomia, torna a casa, in Puglia, sfuocate s’intravedono più e più volte le ciminiere e i fumi dell’ILVA, dunque siamo in provincia di Taranto. Si capisce che è un ritorno sofferto, dopo che per anni aveva tagliato i ponti con la famiglia e con il paesello, in sovrappiù proprio di recente ha appena concluso, a quanto pare, in malo modo una relazione amorosa. Quel che ritrova non è particolarmente entusiasmante: la madre, depressa, vive praticamente a letto con le tapparelle abbassate, accarezzando l’improbabile idea di metter su un negozio di oggettistica kitsch, il padre trascorre le sue giornate al bar giocando a biliardo, a un certo punto fa un vago accenno al fatto che la fabbrica ha messo tutti in cassa integrazione, non si capisce bene se la cosa lo riguardi, in ogni caso non sembra uno che muore dalla voglia di lavorare.
Ma il grande tema, fin dall’inizio, è il pidocchio blu che imperversa nell’oliveta di famiglia, anzi della nonna e che mette a repentaglio l’unico possibile introito. Il padre si è rassegnato (si fa per dire: la cosa non gli provoca il minimo turbamento) a far abbattere gli alberi secolari. Qui ha inizio la fiera battaglia di Nica, divenuta un autentico corpo estraneo in seno a una famiglia e un mondo, dove impera il lassismo, il cinismo e da un certo punto in avanti persino il crimine, dove nessuno, neanche lontanamente, ha sviluppato la minima sensibilità ecologica. Nica è, al contempo, un essere naturale (fin dall’inizio “adotta” una gazza che tiene in camera sua e che spesso se ne sta appollaiata sulla sua spalla ma anche sulla tastiera del computer), un essere razionale che cerca di mettere a frutto i propri studi cercando di fare quello che nessuno, nemmeno gli agronomi chiamati dal padre alla bisogna (sarà vero?), ovvero di studiare il modo di combattere il parassita individuando l’animale antagonista capace di sterminarlo, ricorrendo quindi a rigorose leggi di natura anziché inondare il terreno e gli alberi di pesticidi che inquinano ulteriormente e non risolvono il problema. Ma Nica è anche l’unica depositaria di una tradizione ancestrale, rappresentata dalla nonna, come mostrano le sue immersioni reiterate in una grotta dove viene conservata una grande pietra/lapide, simbolo di una conoscenza magica e prerazionale.
In altre parole, pur non priva di certe durezze, Nica rappresenta una sintesi perfetta, è il Bene Assoluto all’interno di un mondo dove, ciascuno a proprio modo, rappresenta il Male, e l’Incuria, dove – come si dice più volte – il pidocchio, oltre ad aver infestato gli olivi, ha attecchito e ha guastato le menti della gente, talché l’unica soluzione possibile è andarsene, come dichiara l’amica barista e cantante, aiutante proppiana nelle scorribande di Nica, che si diletta incidendo musica greca (a giustificare la coproduzione italo-greca). Opera seconda del trentaseienne Danilo Caputo, Semina il vento è un film tutto sommato ben girato ma molto ideologico, tagliato con l’accetta, senza toni grigi, di un manicheismo alla fine disturbante.
A proposito di disturbante: Nica è interpretata da Yile Yara Vianello, la ragazzina di Corpo celeste di Alice Rohrwacher, d’accordo che è stata via tre anni, ma l’accento toscano dell’attrice toglie al film una buona parte di credibilità.
(Semina il vento); Regia: Danilo Caputo; sceneggiatura: Milena Magnani; fotografia: Christos Karamanis; montaggio: Sylvie Gadmer; interpreti: Yile Yara Vianello (Nica), Feliciana Sibiliano (Paola ), Caterina Valente (Rosa), Espedito Chianna (Demetrio); produzione: JBA Production, Parigi, Okta Film, Trieste; origine: Italia-Francia-Grecia 2020; durata: 91’