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Snowpiercer

Pubblicato il 27 febbraio 2014 da Nicola Lazzerotti


Snowpiercer

E’ un futuro distopico quello mostrato in Snowpiercer, in cui ogni dimensione di civiltà si perde nel treno della speranza immaginato da Joon-ho Bong.
In un Pianeta Terra ferito e martoriato dall’azione dell’Uomo, dove la vita è ormai estinta e condannata dalla glaciazione, l’umanità sopravvissuta è rinchiusa tutta nello spazio vitale di un luogo limitato di un treno, che inesorabile è vita e segregazione allo stesso tempo. Il treno che non fa più fermate, il treno costruito per essere perenne come i ghiacci che lo circondano è dunque la fonte della salvezza e la condanna per chi ci vive.
I passeggeri della terza classe, sono gli ‘ultimi’ di una società divisa rigidamente in caste, ultimi come i vagoni in cui vivono, un nuovo universo così severamente separato, e allo stesso tempo completamente impermeabile e chiuso a ogni forma di mutamento sociale e spaziale. Un treno in cui la vita a bordo sembra, fin dal primo momento, non connotata, senza ragioni. I viaggiatori allora attendono le razioni di cibo giornaliere, attendono il passare del tempo nel degrado, e nell’attesa covano il desiderio proibito di essere altri da loro stessi. La rivoluzione diventa la questione dominante, la conquista dei vagoni di testa, simbolo di opulenza e ricchezza, è la ragione del riscatto. E la lotta, come mutamento delle questioni sociali, è espressa con violento vigore nella messa in scena.
L’autore è molto chiaro nel conferire alla staticità sociale e al ciclo ripetitivo e infinito della rappresentazione della vita sul treno un significato netto, simbolo evidente di una società autoritaria soverchiante, che pianifica e manipola per non cambiare. Il desiderio di ciclicità, l’eterno ritorno di una società bloccata sembra essere per l’autore il grande male a cui opporsi. Gli uomini hanno mutato il clima della terra nel tentativo di salvarla dal surriscaldamento, e gli uomini a bordo del treno determinano in maniera autoritaria chi debba vivere e morire, esercitando un effimero controllo in cerca di un vano desiderio di equilibrio, e di stabilità. A questo si contrappone la casualità degli eventi, la risposta inattesa, un ordito che non si manifesta. La rivoluzione è in fin dei conti per l’autore la chiusura di questo ciclo ripetitivo. La libertà nella rottura degli schemi. Pensiero semplice in fondo, se non addirittura banale, ma adeguatamente espresso e sostenuto vigorosamente e visivamente dall’autore, che vuole dare a questo film un forte connotato politico. La violenza esplicita messa in scena, senza essere mai gratuita, è dunque l’elemento più radicale per esprimere la forza e la necessità di tale rottura degli schemi. I mutamenti, sembra indicarci l’autore, possono essere solo drammatici.


CAST & CREDITS

(id); Regia: Joon-ho Bong; sceneggiatura: Joon-ho Bong e Kelly Masterson; fotografia: Kyung-Pyo Hong; montaggio: Steve M. Choe; musica: Marco Beltrami; interpreti: Chris Evans (Curtis), Ed Harris (Wilford), Tilda Swinton (Mason), John Hurt (Gilliam); produzione: Moho Films; origine: South Korea, USA, France, 2013; durata: 126’


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