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Solo un bacio per favore (Conferenza stampa)

Pubblicato il 9 maggio 2008 da Marco Di Cesare


Solo un bacio per favore (Conferenza stampa)

Roma. La Quinta Repubblica francese sembra quasi voler accogliere l’Italia nel giorno immediatamente successivo alla improvvisa e improvvida nascita della Terza Repubblica, invitando molti critici in una calda mattinata romana e facendo loro spazio in quel gioiello che si chiama Palazzo Farnese, per presentare l’ultimo film di Emmanuel Mouret che, di lì a poche ore, aprirà la rassegna ’Printemps du Cinéma Français’.
In sala sono presenti Mouret e la coprotagonista del film, la deliziosa Virginie Ledoyen.

Il ritratto di Schubert dietro i protagonisti è un viatico per questo film che trovo sia un piccolo gioiello di musica da camera. Sono molti gli input che dà Solo un bacio per favore: l’importanza della musica, la letteratura come compartecipazione e come mezzo per capire se stessi (l’educazione sentimentale à la Flaubert), poi il vino e la pittura. Quindi è tutta una rapsodia francese, con un tocco molto delicato. Perché il cinema non produce, come accadeva una volta, molti altri film in questa maniera? C’è una crisi anche a livello statale, visto che questi gioiellini nascono fuori uno ogni tanto, mentre prima era una consuetudine?
Poi volevo sapere, sempre dal regista, se l’amicizia è più importante dell’amore o viceversa, o se entrambi sono da porsi sullo stesso piano.

E.M. Non posso rispondere e spiegare perché non ci siano altri film francesi così, o perché i film francesi non siano così. È certo che ciò che ci stimola oggi, o funge da motivazione per realizzare un film, è quello che abbiamo amato in altri film, una certa tradizione di cinema che vogliamo portare avanti; e a questo va anche aggiunto il desiderio di sorprendere noi stessi e di vedere e far vedere altro. E quindi ho avuto questo desiderio di fare qualcosa di nuovo e anche qualcosa di diverso da quanto era stato fatto ma, detto questo, è difficile per me pronunciarmi sul resto del cinema francese: diciamo che, rispetto a un certo tipo di cinema francese, ho voluto prettamente fare qualcosa di diverso, fare altro.
V.L. Al di là del fatto che esista o meno una crisi del cinema francese, credo che ci siano delle singolarità e degli universi specifici. Emmanuel, per esempio, è una persona che riesce a lavorare anche con mezzi limitati dal punto di vista economico, ma che, allo stesso tempo, porta avanti questa sua volontà di far esistere il racconto, concedendosi tutto il tempo necessario per riprendere la gente: vuole far vedere i suoi personaggi che vivono, vuole mostrarli mentre vivono sulla loro pelle ciò che accade loro e, quindi, forse il suo cinema è qualcosa di diverso da quel cinema ormai globalizzato, in cui tutto corre velocemente. Emmanuel è come i grandi registi, credo, perché è una persona diversa e perché ha anche un universo diverso del quale raccontare, universo che vuol mostrare e condividere.

Ho letto che lei è stato paragonato a Woody Allen e vorrei sapere se le piacciono il regista americano e Rohmer, visto che io ho ritrovato anche quest’ultimo nel suo film, soprattutto a causa dell’aspetto ’letterario’: vorrei sapere che cosa ne pensa e se non trova questo film troppo ’teatrale’.

E.M. Effettivamente è vero: amo molto Woody Allen ed Eric Rohmer e, come dicevo prima, forse faccio un certo tipo di cinema proprio perché amo ben determinati film e ben determinati registi, dei quali mi sono nutrito dall’adolescenza in poi. Sono stato paragonato a Woody Allen, probabilmente per un certo numero di motivi: innanzitutto perché presento dei racconti che girano molto intorno al desiderio; perché anche io recito nei miei film; e devo dire, in più, che lui come regista mi interessa perché sa comporre delle commedie che sono buffe, sincere, commoventi e, allo stesso tempo, anche esteticamente belle: con il mio direttore della fotografia, abbiamo studiato a lungo il lavoro di Gordon Willis, che ha lavorato con Allen in vari film, come Manhattan e Io e Annie, perché volevamo riuscire a realizzare una commedia che avesse in sé la sincerità e anche una certa eleganza, soprattutto in un’epoca in cui le commedie se ne preoccupano poco, diventando, piuttosto, diciamo ’violente’ (tra virgolette), perché pensano molto a colpire a scapito dell’aspetto più delicato. Per me l’importante è riuscire a realizzare commedie in cui gli aspetti legati allo humour e alle gag non siano antinomici a quella che siano poi la profondità e la bellezza del film.
Devo dire che sono spesso a disagio quando viene fuori una opposizione fra teatro e cinema; in genere si dice che un film sia teatrale quando presenta molti dialoghi, però non vedo bene il rapporto: a teatro non saprei come girare dei primi piani. Per questo mio film non ho mai pensato al teatro e devo dire che buona parte della suspense e dello humour del film sono portati avanti dal dialogo.

Una domanda per Virginie. Lei nel film veste i panni di una eroina romantica: vorrei sapere come si è trovata, se le è piaciuto recitare in questo ruolo e se ci può essere qualcosa che la ha imbarazzata e se, allo stesso tempo, ritiene che si tratti di un personaggio moderno.

V.L. Trovo che il personaggio sia estremamente moderno: da un lato abbiamo questa ricerca dell’assoluto, questo desiderio di non mentire a se stessi, di vivere ciò che uno ha voglia di vivere, anche a costo eventualmente di far soffrire qualcuno e, allo stesso tempo, è un personaggio estremamente moderno, per la grande libertà di cui dà prova, per la sua audacia, per la certezza dei suoi sentimenti. E no, non ho trovato nulla di imbarazzante nel recitare questo ruolo: anzi trovo che sia un personaggio a cui ci si affeziona facilmente, perché è molto vivo e perché in lui chiunque si può riconoscere, uomini e donne. Mi è piaciuta proprio perché si lancia, malgrado abbia questo aspetto fisico di ragazzina perbene e tranquilla.

Il film mi è piaciuto molto. È un po’ una indagine sull’amore, una specie di compendio di quello che nasce dal tradimento. Però io mi domandavo se, dietro questa sua ricerca, non ci fosse anche l’assunto che, in fondo, l’amore e l’innamoramento debbano nascer da una forte complicità, da una forte amicizia.

E.M. Ma l’amore è una parola che conosciamo tutti e su cui tutti ci interroghiamo e di cui è difficile dare una definizione definitiva e per questo motivo rimane un argomento eterno nei secoli e particolarmente interessante per il cinema. Possiamo dire che l’amore può essere amicizia più attrazione fisica: forse sono partito effettivamente da questa base, ma non ne ho fatto la tesi del film. Io sono sempre stato affascinato dalle storie di persone che rimangono amiche per anni e che poi, improvvisamente, da un giorno all’altro le cose cambiano e nasce questo interesse sensuale e da un’amicizia nasce una coppia; si tratta del lato incostante, un po’ capriccioso, che ha il desiderio, di colpire a caso e in certi momenti. E poi forse anche mi interessa la fragilità delle cose, di queste cose che noi pensiamo siano ormai definitive e che poi improvvisamente, per un qualche motivo, cambiano. Mi è piaciuto anche presentare questi due personaggi che parlano di desiderio e di amore in un modo estremamente razionale: in un mondo in cui si razionalizza tutto, loro razionalizzano quello che dicono, il fatto di potersi aiutare; ciò mi ha divertito e mi ha fatto anche fantasticare. Forse nel film si confrontano questa idea utopica di poter aiutare e la realtà psicologica.

Avrei una domanda per l’attrice e una per il regista. Quanto è intimo un bacio per una donna? Perché è incomprensibile per un uomo che il bacio possa essere una cosa più intima che andare a letto con qualcuno.
Per il regista, invece: ho letto nel press-book che c’è una sorta di intento morale nel suo film, che si faccia vedere il rapporto tra desiderio e morale.

V.L. Ma... riprenderò una frase del film: «Di un bacio, finché non si è dato, non si possono conoscere le conseguenze». Comunque non credo che possa essere più intimo per una donna che per un uomo: forse viene in mente pensando al caso della prostituta che non vuole baciare; ma è, effettivamente, qualcosa di molto intimo, di importante, perché serve ad attivare il desiderio, oppure perché può, allo stesso modo, anche annullarlo.
E.M. Non direi che è un film ’morale’: è un film su dei personaggi che si pongono delle domande di tipo morale. Per me questo è un aspetto estremamente importante, direi che si trova al centro del film. I personaggi sono combattuti tra due desideri: da un lato il sentimento, la libido e, dall’altro, la preoccupazione per l’altro e il loro desiderio di comportarsi come gente perbene, di non comportarsi male. E questo è un problema vecchio come il mondo: come potersi realizzare, però facendolo all’interno di una comunità sociale che riesce ad andare avanti lo stesso. Per me è un argomento affascinante. Paradossalmente, trovo che il problema del bacio, oggi che viviamo in una società molto più liberata (in cui la gente divorzia, si creano cellule famigliari allargate, dove non c’è più il problema del peccato e della vergogna) è diventato, invece, una questione importante: me ne sono reso conto dopo il film... paradossalmente il bacio è diventato quasi più pericoloso, perché poi, se in sua conseguenza di dovesse accadere qualche cosa, significherebbe altri traslochi, separazioni, altre case...! Una volta nel vaudeville o nel dramma borghese si potevano avere molte amanti: oggi non ha più molto senso avere un’amante, però le cose nella vita quotidiana sono molto più complicate. E, come diceva Virginie, se uno bacia qualcun altro, non c’è motivo per rimanere con la persona con cui sta, anche se... dopo tutto... perché no?

«Si può diventare saggi solo se si è stati pazzi»: volevo sapere se questa frase fa parte del discorso sulla questione morale e se è sua o di Montaigne. Poi le varie pitture e stampe che lei riprende attraverso il discorso fra i protagonisti, servono a livello didascalico per illustrare quello che che sta avvenendo e che avverrà dopo, o se si tratta solamente di un gusto estetico? Ancora: quanto è importante, per lei, il paradosso?

E.M. È buffo che lei abbia citato Montaigne: effettivamente questa frase non la ho letta in lui; però è una sua idea, secondo cui è molto più facile diventare saggi in età avanzata, quando il corpo non segue più.
L’aspetto pittorico è legato al lavoro sulla scenografia e, generalmente, al cinema amo far risaltare i personaggi e gli oggetti in primo piano rispetto allo sfondo, creando un’immagine che solleciti la mente dello spettatore. Qua mi ha divertito giocare con queste rappresentazioni pittoriche che sono quelle che possiamo trovare nelle nostre case o al lavoro e, tra molte di quelle che potevo scegliere, ho scelto quelle che rappresentavano, in un certo senso, una storia di desiderio o, almeno, che lo evocavano. E trovo che l’interesse al cinema sia quello di poter mettere in relazione fra loro le cose: quindi, più che dire qualcosa, mi divertiva creare delle corrispondenze, stimolare quindi l’immaginazione dello spettatore e ricordare come questi quadri non siano contemporanei e rammentare come la storia del desiderio esista da sempre, ripetendosi e riproducendosi di continuo.

Il film è un paradosso nel vero senso del termine.

Io non faccio film per dire qualcosa, ma quasi per interrogare me stesso, ma in modo ludico. E per me il paradosso è quasi il senso della vita.

Una domanda per entrambi: quali saranno i vostri futuri progetti? Regia, recitazione...

E.M. Intanto io e Virginie abbiamo già un progetto insieme a Stefano Accorsi: si tratterà di un film che sarà, però, più drammatico di questo, più un melodramma che una commedia; dovremmo cominciare entro la fine dell’anno, speriamo.

Questa volta Stefano sarà meno cornuto...?

V.L. Sì, perché sarò io ad essere tradita...!
Ho fatto un film con una regista francese, Lorraine Levy, che si intitola Mes amis, mes amours; poi farò un film con Francis Veber; attualmente sono a teatro con una tournée che dura da vari mesi, ora sono a Parigi con una pièce di Fabrice Roger-Lacan (Irrésistible, ndr).

Hai lavorato con François Ozon: esistono delle affinità con Mouret?

Di affinità fra il loro cinema non ne vedo per niente. Però, anche se quello che dico potrà sembrare un po’ banale, a livello di energia, di concentrazione e di integrità che usano per lavorare, credo di sì.

Recensione del film


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