Sonetàula

Sonetàula segna il ritorno di Salvatore Mereu e conferma, con questo ruggito profondo (il più forte, sinora, di questa strana, atipica e piccola nouvelle vague sarda) che un cinema dell’isola esiste, finalmente, dopo che il cinema sardo erano i film, a volte bellissimi, di gente non sarda. La leggenda, che poi leggenda non è, vuole che fu proprio Salvatore Mereu, il regista di Ballo a tre passi, film vincitore della Settimana della critica alla mostra del cinema di Venezia nel 2003, a dare avvio a questo riscatto registico, con il suo corto di fine corso al centro sperimentale di cinematografia. Il lavoro si intitolava Miguel e pare che sia difficile da vedere perché il regista ne sarebbe gelosissimo. Si sa, di sicuro, che ad certo punto del film un pastore raccoglie da terra una telecamera ed inizia a filmare. Le immagini sono disordinate e fastidiose, ma ricordano la scimmia kubrickiana che trasforma l’osso in arma, con le dovute distanze e un po’ di fantasia. Il cinema sardo contemporaneo è un cinema di sardi pendolari e colti, giovani tra virgolette, e neanche sempre, che fanno film in Sardegna e sulla Sardegna, per tutti gli appassionati di cinema, non solo sardi. Film, spesso, non sempre, in dialetto sardo integrale. Piero Sanna, carabiniere, sessantenne appassionato di cinema, è uno di loro. Uno che ha impiegato decenni di ferie e di permessi dal lavoro per realizzare un piccolo gran bel film: La destinazione. C’è poi Giovanni Columbu, il regista di Arcipelaghi, film splendido ed ipersardo, di quelli integrali e viscerali, fortissimi, indigeni, accessibili ai coraggiosi ma capaci, per valore, di restituire allo sforzo davvero molto in termini di esperienza emotiva ed intellettuale. Un altro è Enrico Pau, il regista di Pesi leggeri, cineasta di una Sardegna più cittadina e “continentale”. Tra l’altro, uscirà ad Aprile il suo secondo film, Jimmy della Collina, tratto da un romanzo di Massimo Carlotto. Torneremo sull’argomento quando il film sarà in sala. Ricordiamo anche Enrico Pitzianti, documentarista con ambizioni da lungo di finzione. E’ suo Piccola Pesca, sui pescatori di Capo Teulada. Altri registi sardi contemporanei sono Piero Livi e Gianfranco Cabiddu e va spiegato, prima di ritornare a Mereu (che di questo gruppo è in un certo senso la locomotiva), che la critica internazionale si è da tempo accorta di questo cinema, mentre il pubblico, al di là forse della Sardegna, questo buon cinema non lo conosce. Chi approfondisce la materia, al contrario, apprezza, premia e difende questo gruppo di autori. Mereu dicevamo. Il regista più robusto della squadra, quello che regala alla sua terra il cinema linguisticamente più complesso ed ambizioso. Quello che usa la sua terra come scenografia e il suo materiale culturale come strumento per sfidare capolavori amatissimi e un po’ “odiati” dei grandi registi (non sardi) del passato. Su tutti Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta e Padre Padrone dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani. La Sardegna al centro di tutto, dunque, per Mereu. Certo, ma insieme al cinema, insieme al gusto per l’inquadratura, alla fotografia, e ad una riflessione sulle stagioni della natura e quelle dell’esistenza. All’esordio Mereu citava Otto e 1/2 di Fellini: Ballo a tre passi era un film a episodi collegati tra loro da una delicatezza quasi orientale e da qualche leggerissimo accenno visionario. La sua terra era chiara nei colori, selvaggia e splendida; i visi dei suoi personaggi erano rugosi e marroni, da Sud arcaico, come nel grande cinema italiano del passato, col sudore addosso, i lineamenti decisi, silenziosi. Ora Mereu torna con Sonetàula, un film iper cinematografico, epico, enorme. Un film fiume, mondiale e sardo al tempo stesso. C’è una tradizione cinematografica dentro Sonetàula, da da La terra trema di Visconti a Novecento di Bertolucci; da Nuovomondo di Crialese a L’Albero degli zoccoli di Olmi, fino aBanditi a Orgosolo naturalmente, la fonte più apertamente dichiarata, con un attore in comune tra i due film, distanti tra loro più o meno cinquant’anni: Giovanni Cuccu, protagonista allora e nonno di Sonetàula adesso. Sonetàula è una una summa dei film sulla Sardegna. E’ una sintesi del cinema sardo dentro un solo film. E’ la Storia in Sardegna, un immersione lenta nell’entroterra pietroso e cespuglioso che termina la dove inizia l’acqua. Non esisteva, finora, un film che corresse come un treno parallelo alla Storia per fotografare il cambiamento che col secondo dopoguerra anche la Sardegna ha vissuto. Si parte dal fascismo e dalla povertà, dall’allevamento ovino e dentro una cultura lunga secoli. Si arriva alla fine della Seconda Guerra Mondiale e al dopoguerra di banditi, di elettricità e di cinema americano. Alla fine un bambino dice di voler fare il trattorista, da grande, oppure di volersene andare in Olanda, dove ci sono belle città in cui è piacevole lavorare. Per collegare e rendere sceneggiato il film, Mereu traduce il romanzo omonimo di Giuseppe Fiori e costruisce la storia di un ragazzo magro (Sonetàula, come il rumore che fa il legno quando viene colpito) costretto dalla sua cultura e dalla sua indole a rinunciare alla vita comunitaria (quindi anche all’amore) per vivere selvaticamente, da animale bandito, la sua esistenza. E’ la Storia di una lingua, di un paesaggio incontaminato e silenzioso come i personaggi che lo popolano. Una storia dipanata per più di due ore e mezzo in cui regna il più arduo dei realismi, che mette a dura prova lo spettatore. Il film è suggestivo e di forte impatto, la fotografia è splendida e mutevole a seconda dei contesti. Fredda quella sulla natura e la vita da fuggiasco, del bosco; più calda quella del paese, del rapporto con gli altri, di cui la sala cinematografica è paradigma (nel film si alternano ben quattro direttori della fotografia). Mereu rinuncia ad ogni accompagnamento musicale, non c’è suono nel film che non sia naturale, obbligato dai fatti narrati. Soltanto a vicenda conclusa, mentre i titoli di coda stanno per scorrere, sale un musica che conferisce una dimensione extra quotidiana al momento. Sonetàula, presentato alla 58esima Berlinale, nella sezione Panorama Special, è un film molto attento alla sua qualità ma anche a non deludere lo spettatore e la critica. La sua ambizione è alta, come il suo desiderio di stupire e di mostrarsi imponente. Il film rimane sincero e pieno di identità, ma quello sforzo smisurato è come se cercasse di costruire la differenza con quanto visto finora, prima che un gran film. In Sonetaula si respira amore per il cinema e per la Sardegna stessa, ma la sua elegante freddezza gli toglie una certa semplicità e una freschezza che ne avrebbero forse fatto un film migliore. E’ un passo in avanti importante del cinema sardo, un film che di sicuro mancava, ma non il film migliore dei nuovi registi sardi. Forse la freschezza di Ballo a tre passi alla lunga vince la sfida.
Marzo 2008
(Sonetàula); Regia: Salvatore Mereu, sceneggiatura: Salvatore Mereu, fotografia: Vittorio Omodei Zorini, Vladan Radovic, Ivan Casalgrandi, Massimo Foletti ,montaggio: Paola Freddi, interpreti: Francesco Falchetto, Manuela Martelli, Antonio Crisponi, Giselda Volodi, Lazar Ristovski, Serafino Spiggia, Giuseppe Cuccu, produzione: Lucky Red, con il contributo del MiBAC, Gianluca Arcopinto, con la partecipazione di: Salvatore Mereu and Elisabetta Soddu per Viacolvento, Rai Fiction, Regione Autonoma della Sardegna, Istituto Superiore Regionale Etnografico; e in coproduzione con Haut et Court S.A. (Francia), Artemis S.A. (Belgio), distribuzione: Lucky Red, Origine: Italia/Francia/Belgio 2008, durata: 157’
