Sul lago Tahoe

Ci sono film in cui pochi istanti di proiezione, pochissimi frame cesellati con cura ed incorniciati con estrema precisione all’interno del grande schermo, proiettano lo spettatore in un mondo altro, dove sentimenti e stati d’animo in subbuglio si mischiano e ti conducono verso un posto ben definito. Il regista sa esattamente come muoversi tra le righe della propria sceneggiatura e le sue immagini sembrano la conseguenza naturale di ciò che il film doveva essere ed in fine è stato. Lake Tahoe rientra sicuramente in questa categoria. Ogni personaggio, ogni silenzio, ogni taglio dato alle inquadrature è perfetto, nulla sconfina mai nell’inappropriato o nel retorico. Nulla è presuntuoso o pretende di essere ciò che è, in tutti i sui pregi e i suoi difetti.
Il film inizia con uno schianto. Una macchina ed il suo pilota, Juan, giovane ragazzo poco più che maggiorenne, sono andati a sbattere contro il palo del telegrafo. Inizia così un viaggio all’interno della periferia di una piccola cittadina messicana e l’incontro/scontro con personaggi bizzarri dal taglio comico e allo stesso tempo tragico. Ogni cosa è perennemente filtrata da un velo di malinconia e solitudine, situazioni e dialoghi oscillano sempre tra il grottesco ed il surreale. Sarà proprio grazie a questo stravagante “paese delle meraviglie” che Juan riuscirà a riconsiderare la propria situazione e a “risolvere” tutto, riavvicinandosi alla propria famiglia, dalla quale stava cercando di scappare.
“Pochi mesi dopo la morte di mio padre – dice il regista – ho distrutto l’unica macchina che avevamo in famiglia. Mia madre sosteneva che si fosse trattato di un semplice incidente, ma io non ero d’accordo. Lake Tahoe è il tentativo di comprendere le ragioni che mi hanno spinto a commettere un tale gesto, al tempo stesso assurdo e profondamente umano”. Dichiarazione che spiega molte cose del film, soprattutto la decisione di indagare l’animo umano e la sua emotività in maniera originale, utilizzando un linguaggio solitamente più consono alla commedia che non al dramma. Le scene divertenti che si susseguono (spassosissimo il ragazzo meccanico appassionato di Bruce Lee) e la fotografia scarna ed essenziale riescono a dare un ottimo ritmo alla pellicola, che commuove senza mai risultare retorica.
(Lake Tahoe); Regia: Fernando Eimbcke; sceneggiatura: Fernando Eimbcke, Paula Markovitch; fotografia: Alexis Zabè; montaggio: Mariana Rodriguez; interpreti: Diego Catano (Juan), Hector Herrera (Don Heber), Daniela Valentine (Lucia); produzione: Cinepantera; distribuzione: Archibald Enterprise Film; origine: Messico, 2008; durata: 85’
