X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Sundance 07: Un Microcosmo fra Arte e Mercato

Pubblicato il 19 gennaio 2007 da Giampiero Francesca


Sundance 07: Un Microcosmo fra Arte e Mercato

Arte e industria, autore e mercato. Viste nell’ottica italiana queste categorie appaiono inesorabilmente incompatibili, inconciliabili, contrastanti. Dall’America però il punto di vista è ben diverso e la 26a edizione del Sundance Film Festival ne è l’esempio migliore. Come potrebbe trovare altrimenti spazio, nel più grande mercato cinematografico, nel cuore dell’industria dei sogni, una rassegna di autori giovani, indipendenti e fortemente innovativi? Può farlo proprio perchè parte di un sistema; un sistema che comincia con le majors, con i film di cassetta ma i cui profitti alimentano via via tutte le sfaccettature del cinema americano, fino a Park City. Simbolo di questo sistema, e del Sundancce, è Robert Redford, passato appunto dalla Hollywood dorata alle innevate montagne dello Utah, dai grandi producers al cinema di nicchia. Dal 1981 infatti il Sundance Institute di Redford e soci aiuta e promuove i giovani autori americani, svincolati dalle pressioni del Sunset Boulevard ma pronti, superato lo scoglio delle prime opere, a irrompere nel panorama cinematografico mondiale. L’istituto, costituito da una serie di laboratori, si propone di mettere in comunicazione le varie anime giovani dell’universo cinematografico. Sceneggiatori e registi dunque, ma anche musicisti, documentaristi e cartoonist riuniti nella provincia americana per confrontarsi, riflettere e studiare, in sostanza creare progetti possibili. Un organismo in continua crescita, capace di rigenerarsi, pronto a scommettere su idee nuove e giovani potenzialità. _ Oltre alla fondazione, sin dall’anno della sua nascita, il Sundance si unisce al preesistente Utah Film Festival per formare quello che oggi conosciamo come una delle rassegne più interessanti e moderne del panorama mondiale.

Nato dapprima come ennesimo strumento di studio nei Sundance Labs, basato per lo più su workshops e retrospettive, il festival è diventato, nel giro di pochi anni, un’importante competizione internazionale.
Dalle sale di Park City sono giunti fino a noi titoli come Sangue facile, Sesso, bugie e videotape e Shine, capaci di lanciare le carriere di registi ormai famosi, ma anche ottimi prodotti commerciali come Full monty o il recentissimo Little Miss Sunshine. Scorrendo l’elenco delle pellicole passate al Sundance, trionfanti, ai premi o ai botteghini, ci si rende conto ancor più chiaramente del rapporto strettissimo che lega, almeno negli USA, industria e artigianato.
Oggi il festival conta cinque sezioni: i concorsi Indipendent Film e World Cinema, a loro volta suddivise in Documentary e Dramatic, Premiére, New Frontier (equivalente all’Orizzonti veneziano o al recente Extra di Roma) e Midnight (esperimento questo presente anche a Venezia) con un’organizzazione da far invidia a tutti i festival, anche i più blasonati, della vecchia Europa.
Una mole di proiezioni impressionante spalmate su tutto il territorio dello Utah e concentrate a Park City che, da sola, ospita dieci sale. Decine di proiezioni per sala al giorno per un totale di oltre 120 film fra cui 85 anteprime mondiali.

Un’ultima notazione va riservata ad un’interessante iniziativa, ennesimo segno di lungimiranza. Il Sundance Film Festival apre alla rete attraverso il Sundance on line, un sistema che permette di visionare in streaming, gratuitamente, numerosi cortometraggi e cartoon.
Sperimentare dunque non solo nelle tematiche, negli stili, nelle forme ma anche nell’essenza stessa del linguaggio. Si può certamente discutere del significato di un gesto come questo, del purismo nel cinema e del valore della sala ma non si può negare che segni simili, se paragonati all’atmosfera stagnante che si respira fra le nostre quattro mura italiane, rappresentino una boccata d’aria fresca (fredda, visti i -20° di Park City).


Enregistrer au format PDF