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Take Shelter

Pubblicato il 29 giugno 2012 da Giovanna Branca
VOTO:


Take Shelter

Credo che nel mondo in cui viviamo sia molto facile cadere preda di un’ansia strisciante, di un’angoscia indefinibile generata da tutte le suggestioni e gli input che ci vengono dall’attualità come dai semplici impegni della vita quotidiana”. Le affermazioni del regista americano Jeff Nichols per introdurre il suo film Take Shelter hanno un’evidenza che sfiora la banalità. Ben altra cosa è tradurre artisticamente, attraverso le immagini, l’impercettibile slittamento di una coscienza nel baratro, il superamento di quella labile linea di confine che separa la “normalità” dalla follia, il momento preciso in cui una persona comincia a temere che la discrepanza tra la realtà e la propria percezione si sia estesa oltre la misura consentita.
Take Shelter si apre con un tornado che si profila all’orizzonte, accompagnato da un’inquietante pioggia gialla. Ma è solo un sogno del protagonista, Curtis, operaio di un cantiere in Ohio, sposato e con una figlia piccola sordomuta.
I suoi incubi si fano sempre più ricorrenti e angoscianti: la tempesta si profila all’orizzonte, gli altri esseri umani si tramutano in violente minacce per sé e la sua bambina, le stesse persone più care assumono connotati minacciosi. Il sonno se ne va, la veglia comincia a recare le tracce degli incubi, in giornate assolate dei tuoni improvvisi rompono il silenzio. Curtis comincia ad essere ossessionato dalla necessità di dotarsi di un riparo anti-tempesta, e per poterlo costruire mette a rischio quei pilastri che negli Stati Uniti rappresentano l’unico aggancio per non cadere nella miseria più completa: il lavoro e la proprietà della casa. Nichols riesce a condensare nel suo film, con un equilibrio perfetto, tutta una serie di elementi che incrinano l’agiatezza indifferente delle società occidentali, di cui l’America è l’incarnazione più perfetta e crudele. Il terrore per l’incombere della catastrofe - l’attesa attonita di un’indefinibile apocalisse alle porte – si mischia con l’angosciosa sensazione della perdita del sé, della capacità di avere il controllo sulla propria vita. Unendo il dramma personale a certi momenti “di genere”, di incursione negli stilemi dell’horror, il regista rappresenta questi incubi senza specificare quali siano gli effetti e quali le cause, evitando così di schematizzare sia la sottile vena apocalittica che i sintomi della malattia mentale.
Take Shelter tiene viva la tensione per tutta la durata della storia, ed è inoltre un film di grande impatto visivo, anche se (dichiaratamente?) debitore nei confronti dell’immaginario di certi registi contemporanei: la pioggia di uccelli ricorda le famosissime rane che piovono dal cielo in Magnolia di Paul Thomas Anderson e il finale sembra proprio citare apertamente la sequenza conclusiva di A Serious Man dei fratelli Coen. La moglie di Curtis è interpretata da Jessica Chastain, veramente brava nel dare vita al suo personaggio, che incarna l’ancora di salvezza per un uomo il cui disagio lo rende automaticamente escluso dalla società. Ma il vero “prodigio” è il protagonista Micheal Shannon, capace di racchiudere l’intera trama del film sul suo volto, che si fa veicolo del cambiamento di un uomo messo di fronte alla peggiore delle paure, quella che l’incubo diventi realtà.


CAST & CREDITS

(Take Shelter) Regia: Jeff Nichols ; sceneggiatura: Jeff Nichols; fotografia: Adam Stone; montaggio: Parke Gregg ; musica: David Wingo; interpreti: Michel Shannon (Curtis), Jessica Chastain (Samantha); produzione: Grove Hill Productions, Strange Matter Films; origine: Stati Uniti; durata: 116’.


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