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Tavola Rotonda AFIC: I Festival e la Critica nell’era del digitale

Pubblicato il 19 dicembre 2013 da Giammario Di Risio


Tavola Rotonda AFIC: I Festival e la Critica nell'era del digitale

Uno studio approfondito e organico sull’evoluzione, linguaggio della presente critica cinematografica in dialettica con i nuovi spazi interattivi dei circuiti festivalieri: questo e tanto altro è stato racchiuso concettualmente nella tavola rotonda, che si è svolta ieri alla Casa del Cinema, organizzata dall’AFIC, Associazione Festival Italiani di Cinema. Incontro inserito in una due giorni di dibattito che ha avuto come ragion d’essere l’omaggio al critico e saggista Alberto Farassino, a dieci anni dalla sua scomparsa.

Come la critica cinematografica può inseguire e modellare i flussi e le tensioni della nuova cultura digitale? Qual è la specificità del ruolo del critico cinematografico all’interno delle nuove tecnologie di comunicazione divenute rapide e in continua rimescolanza tra mondo del web e mondo del cartaceo? Quali sono i nuovi spazi teorici e le nuove opportunità espressive che la critica può sviluppare all’interno dei festival cinematografici? Su questi punti si è caratterizzato sin dalla mattinata l’incontro, quest’ultimo inizialmente strutturato dagli interventi di circa una ventina di addetti ai lavori, la maggior parte di loro molto giovani, che si sono confrontati esponendo le loro esperienze. A moderare il dibattito sono stati il presidente dell’AFIC Giovanni Spagnoletti e il critico, giornalista, docente Luca Mosso.

La critica cinematografica ha abbandonato la sua prospettiva novecentesca, che l’aveva vista ricoprire spazi significativi sui quotidiani italiani dagli anni Cinquanta in poi, soprattutto dopo la spinta innovativa della francese politique des auteurs; partendo dalla presa di coscienza che le cose sono inesorabilmente e giustamente cambiate, Mosso ha introdotto il dibattito puntando su uno slittamento preoccupante del ruolo del critico, che non riesce più a esprimersi sulla carta stampata essendo stato sostituito da figure a lui distanti, come il filosofo, il sociologo che si prendono la responsabilità di raccontare un film al lettore e di esacerbare la perdita di riferimenti, la confusione e la mancanza di chiarezza. Assodata la crisi della cosiddetta critica militante, Mosso ha analizzato la triangolazione quotidiano, lettore, critico, individuando nell’ultima figura quella più debole, di fatto in balìa di un sistema privilegiante la progressiva de – qualificazione del mestiere del critico. Quali sono i rimedi a tale condizione frustrante? Ecco allora che arriva in soccorso il web ma anche in quel mondo , per Mosso, si anniderebbero derive caotiche e prospettive più illusorie che concrete. Durante l’incontro, entrando teoricamente ad analizzare la critica web, è emersa la totale differenza di visione tra le nuove e le vecchie generazioni: da un lato coloro, come il presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Piero Spila, ancorati a una visione malinconica della critica che fu di contro al pessimismo sulla misteriosa critica web, rea di abbassare la qualità dei contenuti e instaurare una dialettica con la fruizione malata, superficiale e dall’altro i giovani come Gabriele Niola che invece inquadrano radicalmente la rete come un groviglio di possibilità espressive che porteranno la critica cinematografica ad evolversi, a catturare sempre di più l’immaginario dei lettori. Con questi due blocchi, da un lato il considerare lo “scrivere di cinema” di qualità un affare passato albergante esclusivamente il mondo del cartaceo e dall’altro il nuovo che avanza e che apre, con la cultura convergente, ad un futuro carico di possibilità espressive, si è proceduto con gli interventi. Senza entrare nello specifico dei singoli punti di vista, la verità, come in tutte le cose, si instaura nel mezzo e la fotografia emersa è quella di un mondo, quello della critica cinematografica, destabilizzato che, nonostante siano ormai passati dieci anni dalla prese di coscienza dei nuovi mezzi di comunicazione, vive lotte interne in merito a cosa sia realmente lo “scrivere per cinema” e cosa debba realmente affrontare sul suo percorso colui che vuole raccontare le immagini in movimento. Siamo nell’epoca dei social network, delle comunicazioni veloci, delle stellette che diventano segno, grado di giudizio di un film e allora ci viene in soccorso il tema portato avanti da uno dei relatori, Cristiana Paternò, che, inserendosi a metà strada tra Spila e Niola, ha ridisegnato le barricate esaltando lo strumento del web capace di creare un universo critico da grandi numeri, in cui i lettori partecipano attivamente e si informano continuamente, con passione e andandosi a cercare i contenuti di qualità, ma avvisando gli addetti ai lavori sui reali rischi che incontra la specificità del ruolo del critico. Una recensione di un film non può basarsi sulla grammatica dei social network, di fatto gli i like o i commenti, come non deve trincerarsi nel passato viceversa deve conoscere le nuove forme di interazione, esprimersi al suo interno mantenendo, parallelamente, il suo passato: rigore stilistico, approfondimento, analisi e non solo esposizione della trama di un film, collegamento con il contesto, spirito critico e riflessione.

E quando l’affare tocca il rapporto con i circuiti festivalieri? Ecco che entrano in gioco le lottizzazioni e molto spesso il critico cinematografico diventa ostaggio degli uffici stampa, dei committenti e della giostra organizzativa portata avanti dai curatori delle kermesse. Ormai la presenza di un critico nelle giurie dei festival è un’utopia ma, di stimolante, c’è la riconfigurazione della sua mission all’interno di uno spazio che diventa sempre più laboratorio di idee che si apre al mondo mediante la tecnologia. Da qui l’accesso a una realtà visuale che difficilmente arriverebbe nelle sale cinematografiche delle città e che andrebbe descritta al lettore, la possibilità di raccontare i nuovi linguaggi del cinema, la descrizione percettiva di un luogo culturale dove si può anche bypassare l’estenuante copertura, mal retribuita nella maggior parte dei casi, di tutto il programma a patto che la spinta e la predilezione di determinati aspetti, argomenti non abbiano un committente mosso esclusivamente da interessi economici e di bandiera. L’ingresso, come media partners, di alcuni quotidiani e riviste nella struttura dei Festival sta creando un conflitto di interessi, tipico della cultura italiana, che in alcuni casi appiattisce totalmente qualsiasi spinta innovativa producendo, nel rapporto tra critica e festival, mai una sinergia viceversa una connivenza strumentale in cui il manico del coltello è tenuto in mano dai direttori artistici. Anche qui quali potrebbero essere le soluzioni? Il dibattito ha offerto un tessuto ideale in cui, concentrandosi sul principio etico, il critico ha bisogno di ritagliarsi un ruolo contemporaneo non solo come analizzatore visivo ma anche come esperto mediatico, riuscendo, con il suo sapere a 360 gradi, a veicolare l’informazione e a lavorare per il successo di una manifestazione culturale. È questo l’esempio del Festival di Taormina, cresciuto nell’ultimo anno del 25% in termini di presenze di pubblico, grazie alla direzione artistica di Mario Sesti e la comunicazione web sviluppata da Gabriele Niola. Un cortocircuito che potrebbe ancor di più arricchire il ruolo del critico cinematografico, di fatto palesando la sua necessità di affrontare territori che nel passato gli erano marginali per entrarci e svilupparci nuove forme di comunicazione. Il successo della pubblicità sviluppata con un semplice investimento su internet, di circa 500 euro, ha permesso a Taormina di raggiungere una fruizione su vasta scala inimmaginabile. Tale esempio ha caratterizzato l’ingresso nella fase pomeridiana del dibattito, in cui si è venuta a creare una riflessione sul nuovo status del critico cinematografico all’interno dei festival, non più soltanto un esperto d’immagini viceversa un costruttore d’immaginario che non deve limitarsi alla scrittura di un pezzo e vivere la spada di Damocle della consegna entro quaranta minuti dalla fine di una proiezione, viceversa deve colorare la sua professione sfruttando le possibilità della rete, la comunicazione veloce e la sempre maggiore sete di realtà parallela, virtuale del pubblico. Non che nel passato il critico non dovesse avere una visione ampia della sua professione, ma nel clamore della società dello spettacolo, nel clamore di un intrattenimento governato e esposto a sempre maggiori immagini, ecco che il suo ruolo potrebbe ritornare ad essere centrale anche se diverso dal passato.

Un percorso individuale e stimolante che, qui in Italia, deve estraniarsi dal corporativismo e dalle logiche di bottega e che deve essere sostenuto dalle associazioni di categoria. Qui entra in gioco, per esempio, la presidente Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, Laura Delli Colli, presente in veste di relatrice, che ha dimostrato apertura nel voler ri-considerare e riconfigurare le tutele nei confronti dei tanti, quasi tutti, giornalisti/critici cinematografici non pagati, sottopagati e sfruttati dalle testate, e che si parli di cartaceo o di web non fa differenza.

Questo è il primo problema da risolvere, cercare di individuare, mediante strumenti di profondo riconoscimento, coloro i quali, e parliamo esclusivamente delle nuove generazioni, hanno una professionalità tale non poter più essere considerati peoni in rete della critica cinematografica o essere portati a esempio della democraticità delle nuove tecnologie, viceversa vanno giudicati come risorse professionali che debbono essere considerate e tutelate anche economicamente. Purtroppo tale struttura risulta appannaggio esclusivamente delle vecchie generazioni e fino a quando sarà così difficilmente il dibattito portato avanti dall’AFIC potrà avere una ricaduta, necessaria e auspicabile, sulla “vita quotidiana” dei ventimila critici sparsi per l’Italia.


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