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Televisionarietà – Misfits

Pubblicato il 4 febbraio 2011 da Marco Di Cesare


Televisionarietà – Misfits

Vi è un evidente intento parodistico in questa gemma dell’inglese E4, un gusto per l’eccesso che si abbandona a una spinta parossistica che non si rinchiude in se stessa ma che, anzi, abbraccia inquieta un orizzonte in cui si sente aleggiare un respiro ampio e totalmente vivo. Scritta da Howard Overman e prodotta dalla Clerkenwell Films Misfits rappresenta una rilettura di intere pagine di generi televisivi e cinematografici (tra cui almeno uno specificatamente americano) mangiati e fagocitati con scaltrezza, elementi restituiti attraverso un mix corrosivo e politicamente scorretto che assume la forma di un ghigno sardonico e crudele mentre, accanto a tale sguardo satirico, se ne accompagna un altro pregno di una lettura critica della società inglese, dove la rappresentazione della realtà assume la forma dell’ineluttabilità di un destino, colorandosi, in questo modo, dei toni vicini a una distopia coniugata al presente, dando vita a un prodotto tipicamente d’Oltremanica e televisivamente assai innovativo.

Solitamente sono gli Americani a realizzare remake di prodotti britannici: si pensi a The Office (divenuto comunque un capolavoro), a Life on Mars o a The Prisoner; oppure agli ancora più recenti adattamenti di Shameless (Showtime), Being Human (SyFy) e Skins (MTV), in onda oltreoceano proprio in questi giorni. Quindi il più delle volte è la piccola e cara Inghilterra a venire un po’ depredata dalla grande, grossa e opulenta America. E però non vi è nulla di cui scandalizzarsi, poiché quello che la Televisione sta vivendo nell’ultimo decennio e passa è indubbiamente un’età dell’oro, laddove anche il meccanismo del remake diviene il più delle volte un espediente per un mezzo espressivo in piena espansione di poter rileggere il proprio linguaggio e di guardare lontano da sé (ovviamente nel tempo come nello spazio), il più delle volte reinventando e reinventandosi: in questo modo si porta avanti un’operazione totalmente diversa e, quindi, eticamente ’onesta’, rispetto al cinema mainstream americano che si appropria di idee altrui, perlopiù banalizzandole (come accade in particolare per il bistrattato genere horror). Qui, però, in questo caso specifico, ci troviamo di fronte a un livello ulteriore, superiore: qui ci troviamo di fronte all’intervento di chi ha preso spunto da alcune serie di un altro mondo, appropriandosi di quest’intero mondo e ricreando tutto secondo un gusto autoriale del tutto legato al linguaggio audiovisivo dell’odierna Inghilterra.
Perché, nell’anno che ha visto la conclusione di Heroes, quelli dell’E4 - indubbiamente una delle pietre angolari della serialità internazionale: basti rammentare Skins o Dead Set – hanno tirato fuori dal loro cappello di maghi un prodotto che prende a piena mani da tante storie di supereroi d’Oltreoceano: in questo caso particolare al centro abbiamo le vicende di persone normali che vengono fortuitamente colpiti da eventi eccezionali che lasciano loro in dono dei superpoteri. Ossia quello che, nel 1985, era accaduto ai ragazzi di Misfits of Science (dove una giovanissima Courtney Cox muoveva i primi passi e con Tim Kring, futuro creatore di Heroes, cosceneggiatore di un episodio); o, ancora, nel più recente e particolarmente scontato No Ordinary Family dell’ABC.

Ma la parola ’Misfits’, oltre che richiamare alla memoria il nome di uno storico gruppo hardcore dell’East Coast, in italiano significa ’Disadattati’.
E questa è la condizione di cinque ragazzi di Londra costretti a prestare servizio sociale come punizione per aver commesso dei reati minori: dalla guida in stato di ebbrezza al possesso di cocaina, dall’aver appiccato un incendio a una casa (per non far morire un gattino, però, lo spegnerà prima di provocare danni irreparabili) all’avere preso a botte una coetanea che l’aveva insultata, fino al furto di caramelle e qualche altro danno arrecato a una sala da bowling. I loro nomi sono Alisha, Curtis, Simon, Kelly e Nathan.
All’inizio del primo dei sei episodi della prima stagione (cui se ne è aggiunta una seconda di altri sette) un fulmine, uno dei tanti della tempesta elettrica che si abbatterà sulla capitale del Regno Unito, colpirà la combriccola, donando loro dei poteri: Kelly avrà la capacità di leggere le menti; Curtis, una promessa dell’atletica leggera che a causa del reato commesso ha dovuto rinunciare alle Olimpiadi casalinghe del 2012, potrà tornare indietro nel passato (ma solo quando si sente colpito nel profondo dell’animo da quanto sta accadendo nel suo presente); la bella e mangiauomini Alisha con un semplice tocco (o anche quando viene sfiorata) può attrarre qualsiasi ragazzo, trasformandolo in una belva affamata di sesso, senza bisogno di corteggiamento e preliminari; Simon, che di fronte agli occhi altrui sente di passare inosservato, avrà il dono di poter diventare invisibile; infine Nathan, dalla lingua arguta e irrefrenabilmente canzonatoria, il cui eventuale potere tarderà a emergere. Ma quella tempesta non ha cambiato solo i loro di destini, poiché vi sono altre persone con poteri e caratteristiche straordinarie: un’adolescente che, con la forza del pensiero, può far perdere i capelli a chi la fa arrabbiare; un uomo più che adulto che di notte pensa di essere un cane; un bambino di nove mesi che riesce a convincere gli adulti a fare quello che lui vuole solo con la forza del pensiero.
Il centro nevralgico dell’azione è il distretto londinese di Thamesmead, cinematograficamente famoso per essere già stato uno dei set di Arancia meccanica, luogo dove è cresciuto il protagonista Alex, emblema della delinquenza giovanile inglese che vive senza legge, davanti a uno Stato che può essere anche peggiore di tanti teppisti. E la violenza si farà subito largo tra i Misfits del Duemila, i quali compiranno un omicidio, seppure per autodifesa. Questo atto sarà la causa di tanti altri che si muoveranno tra il tragico, il grottesco e il comico.

Il lavoro di Overman ha esordito sul canale Fox di Sky, mentre già dal 3 febbraio andrà in onda su Rai 4. I protagonisti adolescenti e l’attenzione verso le loro esistenze la fanno aderire in parte al genere del teen drama; a causa della rappresentazione senza filtro, però, si è certamente vicini al racconto di formazione à la Skins, quantunque in questo caso sia palese una sovraesposta esagerazione. La fantascienza, al contrario, è appena sfiorata, rimanendo una mera scintilla utile a far cominciare il racconto e che finora non ha conosciuto ulteriori approfondimenti scientifici o particolari speculazioni filosofiche. Difatti, poi, non vi è in Misfits quell’afflato utopistico e Tutto, piuttosto, è dominato dai colori della Black comedy politicamente scorretta, con incursioni particolarmente drammatiche e venature violentemente horror, dove i protagonisti sono degli antieroi, degli anti-Heroes. Anzi, in questa serie inglese, l’istinto di autoconservazione dei protagonisti può provocare forti dubbi morali nel pubblico, il quale ovviamente è portato ad aderire alle loro gesta, a ragazzi che hanno ucciso e coperto un omicidio perché erano sicuri che nessuno avrebbe creduto a dei delinquentelli come loro (malgrado i loro precedenti non fossero di certo gravi). Col tempo, poi, degli sconosciuti giungeranno a un forte senso di comunità, dove l’individuo tende ad agire col fine di conservare tale armonia nella disarmonia, così come accade nello splendido e toccante finale dell’episodio 1.5. Oppure come in quel piccolo capolavoro che è l’intero 1.4 (in originale gli episodi non riportano alcun titolo, diversamente dall’adattamento nostrano), dove si gioca andando avanti e indietro nel tempo, collegando mondi diversi (il passato e il futuro; una luminosa sala da bowling e un oscuro locale dove sballarsi, collegati tramite un parcheggio, vero luogo di passaggio per la mente) e dove tutti i personaggi fino a quel momento fondamentali si riuniscono senza potersi riconoscere, sottolineando così l’importanza di ogni individuo, tessera necessaria per realizzare l’equilibrio dell’universo-mondo, nel bene come nel male. Un universo comunque folle, come esplicitato dalle divertenti e intelligenti citazioni di un’altra opera kubrickiana, ossia Shining, nei primi due episodi.
È tanta la voglia di stupire di Misfits. E, sinceramente, questo miracolo inglese riesce benissimo nel suo intento. Non tanto - o, comunque, non solo - grazie alla volontà di oltrepassare i confini del pudore, ma soprattutto grazie a questa sua commistione di generi e registri diversi, partendo da personaggi adolescenziali stereotipati, ritratti che si ripetono di generazione in generazione, per giungere alla definizione di individualità (laddove più scontata è giusto quella di Alisha, seppure costei sia importante per la definizione della dicotomia sesso-amore e un ripensamento del senso del possesso, da fisico a mentale e interiore). E la capacità di scartare il prevedibile, di dimenarsi tra lontani estremi - divertiti ma inquieti - muovendosi tra realismo e artefatta costruzione - tuttavia seguendo sempre una certa libertà compositiva - concorrono a fare sì che questa serie possa essere considerata come una profonda e riuscita deflorazione dello schermo televisivo.


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