The alien - Forum
Un giorno dovremmo tornare a chiederci se la mancanza di libertà politiche ed espressive, non aiuti l’individuazione di un linguaggio indiretto, allusivo, che è poi spesso la caratteristica della poesia. Nascosto fra le pieghe di Forum, la sezione storicamente più ostica della Berlinale, è assolutamente da segnalare il primo lungometraggio del quarantacinquenne regista iraniano Nader Saeivar, intitolato Namo, il titolo internazionale è The alien, ovvero l’alieno. Il film inizia come un breve romanzo di Christa Wolf, intitolato Che cosa resta, non a caso un testo, almeno in parte, prodotto in un regime con limitazioni alle libertà espressive.
All’improvviso, sulla strada abbastanza trafficata di una cittadina multietnica del nord-ovest dell’Iran, compare una macchina, che stazionerà lì ininterrottamente per giorni, con due individui a bordo. Tutti si chiedono quella macchina che ci faccia lì, tutti si chiedono quella macchina per chi sia lì. Quel che fin dall’inizio appare evidente è che la macchina sia dei servizi di sicurezza. Ciò che rende ancor più inquietante questa novità è peraltro la continua presenza di elicotteri nel cielo della città, e poi l’autoradio del protagonista non fa che raccontare movimenti di protesta contro il regime…
Il protagonista? L’attenzione dello spettatore e degli altri personaggi comincia inesorabilmente a concentrarsi appunto sul protagonista, Bakhtiyar, un uomo mite e risoluto che insegna storia in un liceo (ma ancora è precario, lo attende proprio in questi giorni l’esame per una possibile stabilizzazione definitiva) e arrotonda guidando il taxi. Bakhtiyar è di origine curda, anche se conosce il farsi meglio del curdo, ma non parla il turco, lingua nella quale alcuni si esprimono in questa zona di confine. Bakhtiyar è un uomo mite sì, ma non particolarmente incline ai compromessi, per esempio quando scopre un allievo a copiare una prova di esame vorrebbe sospenderlo, ma il preside lo convince a soprassedere, essendo il padre uno dei più generosi sponsor della scuola…
Ciò che fa sì che l’attenzione si concentri su di lui è, da un lato, il fatto che nel condominio al centro del film lui sia uno degli ultimi arrivati e, dall’altro, che il padre, pur ormai vecchissimo e affetto da Alzheimer, in passato è stato politicamente attivo, e adesso vive insieme al figlio. Quanto basta per immaginare che i signori della macchina siano lì proprio per lui. Con lenta e impercettibile inesorabilità l’equilibrio apparente di Bakhtiyar cade a pezzi: malgrado in quella strada, in quel condominio nessuno abbia la coscienza completamente a posto - uno ha sottratto denaro alla banca dove lavora, un altro ha il figlio dipendente da droga e/o farmaci che tende costantemente a perdere il controllo - i vicini cominciano a guardarlo di traverso, anche il rapporto con la moglie, fin qui affettuoso, si sgretola, e anche la professione rischia di saltare, visto che la reazione dell’insegnante all’interrogatorio che dovrebbe condurre alla sua stabilizzazione non va affatto nella direzione auspicata dai superiori, Bakhtiyar, esasperato dall’ottusità dell’ispettore, si ribella.
I dialoghi sono straordinari, la sceneggiatura perfetta, non a caso scritta da Saeivar a quattro mani insieme a Jafar Panahi, responsabile anche del montaggio, la regia lineare e sobria. Insomma, cinema iraniano "at his best".
(Namo); Regia: Nader Saeivar; sceneggiatura: Nader Saeivar, Jafar Panahi; fotografia: Vahid Biuote; montaggio: Jafar Panahi; interpreti: Bakhtiyar Panjeei (Bakhtiyar), Sevil Shirgi (Sevil ), Naser Hashemi (Mr. Solat), Hadi Eftekharzadeh (Mr. Dvod), Firoz Ageli (Mr. Reza); produzione: Avaye Nafas; origine: Iran 2020; durata: 93’