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The American Trap - Noir film festival - Concorso

Pubblicato il 8 dicembre 2008 da Salvatore Salviano Miceli


The American Trap - Noir film festival - Concorso

A metà degli anni sessanta, in piena guerra fredda, Luciene Rivard, il più grande trafficante di droga e armi della storia canadese, si ritrova a capo di una organizzazione clandestina che concorre insieme a Stati Uniti, Francia e Russia nello sfruttamento delle immense risorse, naturali e monetarie, del terzo mondo. In tutto questo, tra spedizioni di cocaina e di armamentari bellici, sullo sfondo di locali malfamati e prostituzione, in un giro del mondo che coinvolge Cuba, Marsiglia, l’Indonesia, New Orleans, Montreal e, soprattutto, Dallas, si consumeranno gli omicidi di John e Bobby Kennedy con la CIA a tessere le fila di accordi e transazioni economiche e militari atte a sconvolgere gli equilibri geopolitica del mondo.
Charles Binamé realizza un film complesso e abbastanza pretenzioso. La sceneggiatura dipinge un mondo marcio in cui l’amicizia può esistere solo se strettamente legata ad una qualche utilità, ad un ritorno facilmente monetizzabile. La regia riesce solo parzialmente a supportare la mole spaventosa di informazioni, tutte basilari per capire le tesi di fondo che animano la pellicola, che Fabienne Larouche e Michael Trudeau hanno inserito in fase di scrittura. Ed infatti non sempre certi passaggi chiave possiedono la necessaria chiarezza, risultando ostici da individuare e complicando non poco la vita di noi spettatori.
Il film è ben diretto ma trasmette la sensazione di volere inseguire troppe sottotracce senza poi riuscire a svilupparle in modo compiuto. Non basta la prova degli attori, Rémy Girard su tutti, per porre in secondo piano la confusione che si genera soprattutto nella seconda parte. Il messaggio forte lo dice guardando direttamente in camera il protagonista nella prima scena: è dall’omicidio di John Kennedy prima, e di suo fratello Bobby poi, che l’America perde per sempre la sua innocenza. Già Stone con JFK ma ancora prima con Talk Radio (Dallas è la città della colpa, che porta in sé e con sé il peccato originale) aveva fatto suo un tale assioma. Risulta abbastanza difficile quindi restare colpiti. Nulla di nuovo si potrebbe dire.
Per potere apprezzare però i meriti, presenti, di The American Trap bisogna paradossalmente cercare di mettere da parte (anche se gioca un ruolo fondamentale) l’assunto ideologico e politico, il tentativo di fornire un nuovo perché a quei due omicidi che gettarono gli Stati Uniti in un vuoto di spirito e di democrazia. Solo così facendo ci si può concentrare sulla precisione con cui ogni personaggio viene delineato, su una fotografia che si sforza di rappresentare anche emotivamente le numerose fasi in cui il film si suddivide ed un finale in un certo qual modo aperto che, per quanto oscuro, lascia immaginare sviluppi che non potremo mai conoscere con esattezza ma che è facile sospettare siano accaduti.


CAST & CREDITS

(Le Piège Amèricain); Regia: Charles Binamè; sceneggiatura: Fabienne Larouche, Michael Trudeau; fotografia: Pierre Gill; montaggio: Dominique Fortin; interpreti: Rèmy Girard (Lucien Rivard), Colm Feore (Maurice Bishop), Gèrard Darmon (Paul Mondolini), Joe Cobden (Jeffrey Cohen) ; produzione: Aetios; distribuzione: Maximum Films International; origine: Canada 2008; durata: ‘104;


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