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The Artist

Pubblicato il 16 maggio 2011 da Salvatore Salviano Miceli
VOTO:


The Artist

Inutile negare il fascino che si avverte quando il cinema riflette su se stesso, quando lo schermo racconta storie e miti propri della settima arte in una sorta di autobiografia per immagini. Spesso il racconto che ne viene fuori è animato da una passione cui è difficile resistere. Se poi si cerca di adottare un linguaggio ormai non consueto, anzi volutamente anacronistico, l’operazione assume però il rischio di non arrivare agli spettatori restando inaccessibile e risolvendosi in una fredda autocelebrazione.
Non è il caso di The Artist: Michel Hazanavicius realizza un film muto, girato in bianco e nero, seguendo le caratteristiche di quel cinema dal gusto inconfondibile che profuma nostalgicamente di passato. Quel cinema che a volte capita di ritrovare nelle notti insonni in qualche programmazione televisiva nascosta ai più.
Torniamo indietro di parecchi anni, nel periodo in cui dal muto si passa al sonoro (1929/1930), vera e propria rivoluzione della storia del cinematografo. Non mancano testimonianze di tante star dell’epoca improvvisamente dimenticate perché incapaci di adattarsi a questa novità. Pur figlia della finzione, così è la storia di George Valentin (uno strepitoso Jean Dujardin, miglior attore a Cannes per la sua interpretazione), attore di successo e icona di quegli anni che vede inesorabilmente appassire la sua fama davanti alle nuove star del sonoro tra cui primeggia Peppy Miller (una altrettanto straordinaria Berenice Bejo). Ma non basta il semplice racconto della caduta nell’anonimato di Valentin e del suo rapporto con la Miller anche solo a suggerire la leggerezza e la bellezza di questo piccolo film francese interamente girato ad Hollywood. Si respira aria di mito ed i cinefili più appassionati scopriranno locations note entrate nell’immaginario di quegli anni. Ma la magia più grande, che oltrepassa i luoghi della Warner e della Paramount, oscura la presenza di cimeli come la casa di Mary Pickford, è data da una regia attenta a calarsi nel cinema di quel periodo senza dimenticare di rivolgersi ad un pubblico non più abituato a quello stile ed ai suoi tempi. Il montaggio diviene, ancora più del solito, uno strumento fondamentale per scandire i passaggi decisivi, sottolineare i momenti cruciali della narrazione. La musica, impetuosa in alcuni momenti e quasi impercettibile in altri, e che ricopre un ruolo cruciale, affianca ogni "battuta", delimitando ciascun blocco narrativo.
I due interpreti sembrano avere imboccato le porte di una macchina del tempo mostrando lo studio profondo di un metodo recitativo che era basato interamente sulla mimica facciale e sui movimenti del corpo. Mentre i quadri in 4/3 illuminano in bianco e nero uno schermo bianco quasi sbigottito, chi osserva ride e si diverte, sorride e si commuove, sentendosi trasportato, come fosse una illusione, lontano dal presente.
Scompaiono per poco più di novanta minuti la coscienza della rivoluzione digitale, l’ormai onnipresente 3D e qualsiasi appiglio al cinema contemporaneo. Restano i volti dei personaggi, lo stupore della loro recitazione, la nostalgia di gesti e atmosfere desuete. Resta The Artist con la sua forza evocativa e la leggerezza del suo racconto. Resta un frammento di originalità in mezzo a tanti film tra loro, sempre più spesso, troppo simili. La sensazione di aver goduto di un piccolo grande gioiello di certo non svanirà.


CAST & CREDITS

(The Artist); Regia e sceneggiatura: Michel Hazanavicius; fotografia: Guillarme Schiffman; montaggio: Anne-Sophie Bion, Michel Hazanavicius; interpreti: Jean Dujardin (George Valentin), Berence Bejo (Peppy Miller), John Goodman (Al Zimmer), James Cromwell (Clifton), Penelope Ann Miller (Doris), Missi Pyle (Constance); produzione: La Petite Reine, Studio 37, La Clsse Americaine, JD Prod; distribuzione:Wild Bunch; origine: Francia; durata: 100’.


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