The Club - Concorso
Difficile scrivere in poche righe di un film di Pablo Larrain, ancor più difficile del solito scrivere di un film complesso e insidioso come The Club, dove ogni parola, ogni avvenimento, ogni personaggio nascondono una trappola mortale. Per se stessi e per lo spettatore, entrambi come sempre vittime della crudeltà mai gratuita e anzi profondamente etica del giovane regista cileno.
Oggetto della sua analisi spietatamente entomologica della società e della natura umana è questa volta la Chiesa cattolica e la sua ipocrita politica di occultamento di quanto di terribile accada nelle sue fila.
Il regista comincia all’insegna dello spiazzamento: immagina una specie di casa di riposo dove vivono amenamente quattro uomini e una donna, che passeggiano sulla spiaggia dello sperduto paesino, mangiano, chiacchierano, e allenano un levriero che fanno correre poi con successo nelle gare, guadagnando sulle scommesse. Solo dopo poco capiamo che questi uomini dall’aria insignificante sono sacerdoti e supponiamo che siano in una sorta di ritiro spirituale, assistiti dalla garbata perpetua. Peccato che già nei primi minuti di film avvenga un fatto spaventoso e assolutamente inaspettato (come del resto, all’inizio di Tony Manero) che apre nuovi inquietanti scenari e ci rivela che quei quattro preti si trovano in quella casa perché erano stati allontanati dal sacerdozio, e come loro anche la donna che non è una perpetua bensì una suora. Tutti i personaggi si sono macchiati di peccati terribili, in particolare uno di loro che un giorno viene apostrofato da un uomo misterioso con terribili accuse urlate davanti alla loro porta.
Per risolvere la situazione viene inviato un giovane e affascinante sacerdote che è anche uno psicologo, un esponente della “nuova chiesa”, che si suppone più progressista. Le sue conversazioni/sedute psicanalitiche con i diversi personaggi ci rivelano gradualmente non tanto chi siano in realtà, ma quali azioni abbiano commesso e perché. Su tutto domina lo spettro spaventoso della pedofilia e delle sue devastanti conseguenze sullo sviluppo emotivo di un adulto che abbia subito abusi del genere, in bilico tra la violenza e la crisi mistica, l’odio e l’amore divino per il suo carnefice.
Ma in Larrain i confini tra elementi antitetici non sono mai precisi, anzi piuttosto nebulosi: malgrado il film si apra con una citazione della Genesi (“E Dio vide che la luce era buona e separò la luce dalle tenebre”), il bene e il male, la vittima e il carnefice convivono dolorosamente in tutti gli individui, e in fondo i crimini di cui si sono macchiati agli occhi della chiesa gli altri tre sacerdoti, possono essere diversamente interpretati. Come per esempio aver affidato di nascosto a coppie ricche e sterili, neonati provenienti dalle favelas che le loro madri avrebbero gettato in una discarica, o aver trascritto le terribili confessioni dei militari (violenze, torture, omicidi impunemente perpetrati) con la velata minaccia di ricatto. Oppure amare un altro uomo, senza costringerlo ad atti sessuali, ma sentendo nella sessualità non finalizzata alla procreazione un’elevazione e non qualcosa di indegno. Tutte opinioni che evidentemente il regista condivide senza che ciò gli impedisca di tratteggiare con grande essenzialità una galleria di personaggi abietti, disposti a tutto pur di mantenere il privilegio di quella sorta di casa di cura. Pronti al ricatto e alla menzogna per tutelare se stessi davanti ad una Chiesa altrettanto pronta a nascondersi dietro i loro crimini, e quindi a rendersi complice silenziosa, pur di salvare la propria immagine.
Girato con il consueto rigore stilistico che controlla qualsiasi eccesso visivo (come la presenza del sangue, un elemento non centrale ma costante del suo cinema) e soffoca la violenza nei colori del grigio, del fango, come se tutto il film fosse filtrato attraverso un perenne uggioso crepuscolo invernale, The club possiede inediti sprazzi di humor nero tanto da far venire in mente una versione maschile, ma allucinata e malata, de L’indiscreto fascino del peccato di Almodovar, il cui titolo originale era non a caso Entre tinieblas, ovvero nelle tenebre. Il film si avvale poi di un cast di ottimi attori, tra cui spiccano l’habitué Alfredo Castro, più dolorosamente umano del solito, e Antonia Seghers, nei panni dell’agghiacciante suor Monica.
(El Club); Regia: Pablo Larraín; sceneggiatura: Daniel Villalobos, Guillermo Calderón, Pablo Larraín; fotografia: Sergio Armstrong; montaggio: Sebastián Sepúlveda; interpreti: Roberto Farías (Sandokán), Antonia Zegers (Suor Mónica), Alfredo Castro (Padre Vidal), Alejandro Goic (Padre Ortega), Alejandro Sieveking (Padre Ramírez), Jaime Vadell (Padre Silva), Marcelo Alonso (Padre García), Francisco Reyes (Padre Alfonso), José Soza (Padre Matías); produzione: Fabula; origine: Cile 2015; durata: 98’