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The haunting of Hill House (Prima stagione) - Teste di Serie

Pubblicato il 24 ottobre 2018 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


The haunting of Hill House (Prima stagione) - Teste di Serie

Il genere horror é da sempre stato utilizzato da registi e scrittori come vettore-contenitore di storie tessute su drammi e dolore. Non é da meno The haunting of Hill House, nuova e apprezzatissima serie orrorifica prodotta da Netflix che, grazie alla verve creativa di Mike Flanagan – anch’egli avvezzo al genere, già regista di Oculus, Il terrore del silenzio, Oujia e il pregevole riadattamento del romanzo di Stephen King, Il gioco di Gerald – porta su piccolo schermo il romanzo culto di Shirley Jackson, L’incubo di Hill House. Soggetto già preso in prestito in passato da Robert Wise nel 1963, il quale firmò Gli invasati, considerata una delle sue migliori opere; anche lo stesso re del brivido Stephen King ammise di aver tratto ispirazione dall’opera della Jackson per il suo Danse macabre. Solo che Flanagan non si é limitato a trasporre letteralmente il romanzo base, ma si é dilettato nel modellare una narrazione di ben ampio respiro, strutturando in dieci ipnotici episodi, un dramma famigliare mascherato – e manco tanto – da favola nera.

Nella magione di Hill House, la famiglia Crain si insedia nella casa, poiché i coniugi Hugh e Olivia (Timothy Hutton e una sorprendete Carla Gucino, autrice di una performance quantomai straniante) si prodigano nel ristrutturare e rivendere case antiche o in disuso. Ma la dimora di Hill House non é un posto come gli altri e strane presenze reclamano il loro posto; ecco, dunque, che la vita dei piccoli Crain verrà sconvolta da una tragedia annunciata...

Ciò che sorprende nell’operato di Flanagan é la fluidità e la brillantezza con la quale guida e si lascia guidare dalla macchina da presa tra le stanze e i corridoi della spettrale magione o restando avvinghiato ai protagonisti spauriti e avviliti – in questo senso va menzionato il sesto, conturbante episodio, interamente girato in piano sequenza, nel quale il regista riesce a trovare il giusto equilibrio tra tensione drammatica, introspezione e cambi di registro di genere, restando all’interno di un unico locale; da questo punto di partenza si evince la propensione di Flanagan a non voler originare terrore – mai disgusto – grazie a effetti jumpscare, per altro utilizzati davvero con il contagocce, bensì modellare un contesto sì disturbante, ma veritiero, sincero e affine con i cliché del dramma psicologico, così verosimile e plausibile da risultare ancor più scioccante del potenziale soprannaturale.

Così The haunting of Hill House pone spesso in secondo piano fantasmi e maledizioni, lasciando che siano il rimorso, la rabbia, il dolore e la solitudine a eruttare, tramutando addirittura nel finale l’intreccio orrorifico quasi in un pretesto, un denoument dovuto al compimento evolutivo caratteriale dei rispettivi protagonisti, essi stessi fantasmi di ciò che avrebbero potuto e voluto essere, alla ricerca di una verità salvifica e taumaturgica.

Flanagan si preoccupa del passato, lo cuce sul presente – e viceversa – attraverso un perfetto montaggio effettuato su più linee temporali differenti, entrando nell’inconscio dei protagonisti, per ricostruire non una ma ben sette vite, quelle della famiglia Crain – e anche di più, a voler esser sinceri; il passato che ritorna, il passato che evoca e viene rievocato dal dolore ancora vivido di conti in sospeso, amplificato da una messa in scena che richiede totale coinvolgimento e partecipazione da parte dello spettatore, in special modo grazie alla collocazione di inquietanti figure semi-nascoste o in bella vista all’interno di Hill House – che i protagonisti spesso non notano -, espediente-esperimento che amplifica l’immersione di chi guarda, sospeso tra fascinazione e incredulità.

La regia di Flanagan prende corpo nei primi piani e con campi-controcampi diluiti, evoca e si nutre di sensazioni di dispersione e solitudine, sfruttando a dovere la vastità dei labirintici interni di Hill House; la narrazione acquisisce spessore e profondità grazie all’alternanza dei diversi punti di vista dei componenti della famiglia Crain, amplificando il senso di perenne disagio che alberga in tutti loro, non necessariamente tra le stanze della magione. L’orrore vero si identifica con il rimorso, con il dolore di aver perduto ciò che ci era più caro ed é questo dolore inestirpabile che può essere solo lenito che fa più spavento. I fantasmi sono dentro di noi, la paura é solo l’abbandono della logica, il rifiuto di confrontarsi con ciò che ci spaventa.

The haunting of Hill House é una boccata d’aria fresca nell’ipertrofica produzione Netflix. Ed é sempre un piacere immane godere di nuovi e originali – per quanto possibile – prodotti di genere.


(The haunting of Hill House); genere: horror, drammatico; showrunner: Mike Flanagan; sceneggiatura: Mike Flanagan, Shirley Jackson (romanzo); stagioni: 1 (in attesa di rinnovo); episodi prima stagione: 10; interpreti: Michiel Huisman, Carla Gugino, Elizabeth Reaser, Kate Siegel, Timothy Hutton, Oliver Jackson-Cohen, Victoria Pedretti, Paxton Singleton, Henry Thomas, Lulu Wilson, Violet McGraw, Mckenna Grace, Julian Hilliard; produzione: Amblin Television, Paramount Television, Intrepid Pictures; network: Netflix (U.S.A., 12 ottobre 2018), Netflix (Italia, 12 ottobre 2018); origine: U.S.A., 2018; durata: 60’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x06 - Eulogy (1x06 - Elogio)


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