THE INTERPRETER

Un thriller un po’ cervellotico ma avvincente e magistralmente girato dall’autore de I tre giorni del condor.
“La vendetta è una lenta forma di sofferenza”. Questa è la frase cardine di tutto il film The interpreter e sostanzialmente di quasi tutta l’opera di Sydney Pollack. Come non accostare queste fondamentali otto parole pronunciate da una straordinaria Nicole Kidman (superiore al per una volta troppo istrionico Sean Penn) ad altri celebri personaggi pollackiani, primo fra tutti Jeremiah Johnson di Corvo rosso non avrai il mio scalpo? La celebre scena finale in cui Robert Redford fa cenno con la mano al capo della tribù dei Corvi, non ha in fin dei conti lo stesso significato dell’incontro tra la bella interprete Silvia Broome e il terribile dittatore del Matobo? È questo che colpisce di The interpreter, al di là della trama e dei numerosi colpi di scena, la capacità di rendere ancora attuale un messaggio datato 1972, impreziosendolo con sequenze mozzafiato (spettacolari i quindici minuti ambientati in un autobus di New York), citazioni Hitchcockiane (da Intrigo internazionale a La finestra sul cortile) e ottimi dialoghi, i quali molto spesso risultano essere superiori ai vari intrecci narrativi che verso i tre quarti del film tendono a diventare un po’ troppo cervellotici. Infatti alcune cose non tornano completamente nel finale e lasciano più di qualche perplessità. Ciò è però ampiamente perdonabile, se non altro grazie alla maestria di alcune inquadrature che nel giro di pochi secondi riescono a catapultare lo spettatore in un mondo ricco di complotti e giochi di potere. La trama si sviluppa su tre livelli: a) le complicatissime questioni socio/politiche africane (guerre civili, pulizie etniche e povertà); b) il pericolo della diffusione negli Stati Uniti di un nuovo terrorismo non legato ad Al Queida; c) la raffinata storia d’amore (cerebrale ed emotiva, non fisica) tra l’interprete Silvia Broome e l’agente dei servizi segreti Tobin Keller. I più riusciti sono senz’altro gli ultimi due, sia perché in essi vengono messe a confronto due personalità diametralmente opposte (l’interprete e l’agente), sia perché si riesce a dimostrare come questioni apparentemente lontanissime da noi, possano improvvisamente presentarsi davanti la porta di casa nostra. Già dalle prime immagini si capisce che Pollack non ha perso il tocco e che conosce a menadito le regole del thriller, soprattutto sa come sfruttarle al meglio per integrarvi le complesse situazioni politiche che si svolgono all’ainterno del palazzo dell’O.N.U.. Già, perché The interpreter ha l’onore di essere il primo film girato all’interno delle Nazioni Unite, che di fatto si trovano a New York City, ma in realtà sono considerate territorio internazionale. In sostanza, The interpreter è un ottimo film, che tiene incollati allo schermo per tutta la sua durata e riesce attraverso i fatti di un finto paese africano (Il Matobo e la sua lingua, il Ku, sono stati inventati in un centro storico/linguistico inglese) a mostrarci questioni estremamente reali e a farci riflettere su un concetto importantissimo: se il terrorismo è per noi occidentali una minaccia relativamente nuova, in Africa è un costante pericolo con il quale la sua gente convive da moltissimi anni. Quindi cerchiamo di essere meno egoisti e pieni di noi stessi, guardiamo oltre i nostri confini.
CAST & CREDITS
Regia: Sydney Pollack; soggetto: Martin Stellar e Brian Ward; sceneggiatura: Charles Randolph, Scott Frank, Steven Zaillian; fotografia: Darius Khondji; montaggio: William Steinkamp; musiche: James Newton; interpreti: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener, Jesper Christensen, Yvan Attal, Earl Cameron; produzione: Tim Bevan, Eric Fellner; produttori esecutivi: Anthony Minghella, G. Mac Brown; coproduttori: Liza Chasin, Debra Hayward; origine: U.S.A.; anno: 2005; sito internet: http://www.theinterpretermovie.com/.
