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The manchurian candidate

Pubblicato il 21 settembre 2004 da Marino Galdiero


The manchurian candidate

È inevitabile non pensare alla guerra in corso, alle tante menzogne diffuse dall’amministrazione Bush, agli interessi delle grandi multinazionali, all’uso perverso delle genetica, alla paura quotidiana e diffusa di vivere in un mega complotto globale. In una parola è impossibile non pensare, guardando quest’ultimo film di Jonathan Demme, alla realtà che ci circonda, quella che per lo meno trapassa le gradi reti mediatiche. E forse la cosa più sorprendente (ma non tanto a ben vedere - la distanza tra la Corea, il Kuwait e l’Iraq non è poi molta) è che si tratta di un remake del film di John Frankenheimer del 1962 (in Italia uscì col titolo di Va’ e uccidi e nel ruolo che oggi è di Denzel Washington, il capitano Bennett Marco, c’era Frank Sinatra). Il clima di ansia e paura in cui siamo immersi, per il pericolo terrorismo, trova una sua configurazione emotiva precisa con Manchurian Candidate, percorrendo le ferite del sentire. Mi spiego: ciò che è capitato al sergente Raymond Shaw, al suo capitano Bennett Marco e alla loro pattuglia nel deserto mentre erano in ricognizione, ha il suo risvolto peggiore non tanto in qualcosa di visibile, di afferrabile con lo sguardo. Il peso degli eventi si percepisce a mala pena, è una ferita di cui si cerca la traccia, depositata nel profondo del cervello, e che qualche malefico dottor Stanamore ha voluto cancellare. Tornare a casa e vivere un incubo, detto più semplicemente. L’insistenza con cui si ripetono scene in ambienti chiusi e stretti, con porte, vetri e finestre poste a delimitare lo spazio, non fanno altro che sottolineare la claustrofobia di un mondo senza certezze. Certo che temi come il controllo della mente, l’abuso di potere, la cospirazione segreta che mira a distruggere la democrazia stessa, e la guerra che rimane dentro la testa, non sono una novità, e nemmeno la costruzione della storia è del tutto originale (un film non particolarmente considerato in proposito e che potrebbe essere un precedente è Allucinazione perversa di Adrian Lyne). C’è però in Manchurian una straordinaria interpretazione di Liev Schreiber (era Orson Welles in RKO 281 ed ora sta dirigendo il suo primo lungometraggio dal romanzo di Safran Foer Ogni cosa è illuminata), il sergente Raymond, candidato alla carica di vicepresidente degli Stati Uniti. È difficile trovare una rappresentazione del potere così debole e proprio per questo così pericolosa.

[settembre 2004]

regia: Jonathan Demme sceneggiatura: Daniel Pyne Dean Georgaris dal romanzo di Richard Condon fotografia: Tak Fujimoto montaggio: Carol Littleton, Craig McKay musica: Rachel Portman scenografia: Kristi Zea interpreti: Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Jon Voight produzione: Paramount Pictures origine: Usa 2004 distribuzione: Uip

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