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The Sessions

Pubblicato il 22 febbraio 2013 da Luca Lardieri
VOTO:


The Sessions

Dopo aver conquistato pubblico e giuria dell’ultimo Sundance Film Festival e dell’ultimo Festival di San Sebastian arriva a Torino, in anteprima nazionale, l’ultima opera del sessantaseienne regista/sceneggiatore Ben Lewin.
The Sessions è una commedia intelligente e ben scritta che racconta la vera storia di Mark O’Brien, poeta/giornalista, costretto a vivere fin da tenera età attaccato ad un polmone d’acciaio e paralizzato su di un letto a causa di una violenta forma di poliomelite. Arrivato all’età di trentotto anni senza mai aver avuto alcun tipo di rapporto sessuale, decide di contattare una sessuologa esperta in donne surrogato, ovvero terapeute e psicologhe che prestano il proprio corpo per aiutare persone diversamente abili a scoprire la propria sessualità e a liberarsi dalle paure generate dalla loro condizione fisica. Le regole sono semplici, un progressivo avvicinamento all’atto sessuale in sei incontri da due ore l’uno attraverso la scoperta del proprio corpo e di quello femminile. Alla fine delle sei sessioni i due dovranno smettere di vedersi ed interrompere qualsiasi tipo di rapporto extraprofessionale. Cosa che alla fine risulterà più difficile del previsto.
La trama potrebbe facilmente ingannare lo spettatore e sviarlo. The Sessions non è un film drammatico, il suo epilogo non è affatto scontato e dietro di esso non si nasconde alcun tipo di patetismo spicciolo o scena da lacrimuccia facile. Il rischio effettivamente era molto alto, ma Lewin grazie ad una scrittura intelligente e ad una regia pulita ed essenziale non mostra mai più di quello che deve mostrare. Non forza lo sguardo e con esso i sentimenti dello spettatore bensì apre e chiude una finestra sulla vita di un uomo dalla forza d’animo straordinaria e di un acume fuori dal comune. Col passare dei minuti, al di là delle scene in cui ci vengono mostrate le oggettive difficoltà di una vita passata distesi su di un letto, l’anima di Mark (uno straordinario ed irriconoscibile John Hawks) si sostituisce al suo fisico e lo spettatore vive le sue emozioni come le vivrebbe in una qualsiasi storia d’amore. Il mutamento del nostro sguardo avviene attraverso gli occhi di una intensa Helen Hunt (bravissima nel donare dignità e spessore a un personaggio fantastico come quello di Cheryl) la quale comincia a vacillare nelle proprie convinzioni e per prima si accorge del cuore di un uomo come Mark. Scadere nel banale o rischiare di aprire dibattiti sul significato di vita e sulle posizioni tra scienza e chiesa al riguardo era un rischio che si annidava dietro ogni angolo di questo progetto, Lewin ha saputo bypassare il tutto con stile focalizzando tutta l’attenzione sulla profondità della storia narrata. Il tutto con uno stile distaccato, quasi documentaristico che alla fine risulta essere il più grande di tutti i pregi del film. Eccezionale poi il personaggio di Padre Brendan (interpretato da William H. Macy) che mostra l’uomo dietro la tonaca che indossa e le inevitabili pulsioni "terrene" che spesso si trovano a dover prevaricare su quelle "spirituali" senza fare di che le commette un peccatore o un immorale.
Un film da vedere che potrebbe diventare un temibile outsider ai prossimi Oscar.


CAST & CREDITS

(Id.); Regia e sceneggiatura: Ben Lewin; fotografia: Geoffrey Simpson; montaggio: Lisa Bromwell; musica: Marco Beltrami; interpreti: John Hawkes, Helen Hunt, William H. Macy, Moon Bloodgood; produzione: Such Much Films, Rhino Films; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA 2012; durata: 95’.


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