THIRTEEN

Quest’America a vederla mette quasi paura. A sedici anni si spara e a tredici iniziano i preparativi. All’infanzia, poi, ci ha pensato il maestro Clint, gettando le speranze dentro al Mystic, irrimediabilmente. Di quest’America si dice che abbia una radicale libertà ed una gran paura. Da questo paradosso nascono grandi film come Elephant e Mystic River. Capolavori che oltre a meravigliare sconvolgendo, incoraggiano e giustificano esordi interessanti come Thirteen, dell’ex scenografa Catherine Hardwicke. L’argomento scelto dalla neo-cineasta indipendente è raccolto da quell’inesauribile fonte di ispirazione che si chiama adolescenza. Quel mondo ibrido, delicato e fondamentale, da sempre ininterrottamente scandagliato. Dalla letteratura, dai pittori e sempre più oggi, da sceneggiatori registi e fotografi. Ma dell’adolescenza si può esprimere il disagio, il bilico o la confusione, non la follia. Ed ecco che i tredici anni o i sedici non bastano più a spiegare l’inspiegabile. Non resta che raccontare. Gus Van sant in questo senso è straordinario, l’autrice di Thirteen assai dignitosa. Perchè il suo lavoro, pieno di inquietudine e credibilià, si sfila di dosso moralità, puritanesimo e conservatorismo. Se sciocca (e lo fa), arriva all’obiettivo senza mostrare eccessi alla trainspotting. Non si compiace di amplessi nabokoviani e non rende mai estetizzanti la trasgressione e la violenza. Il pudore con cui la macchina da presa decide di non filmare tutto fa risaltare i dialoghi, interessanti, e tutto un comportamento che, oltre a far rabbrividire, spiega bene allo spettatore il rapporto tra le vittime e il contesto in cui agiscono. Contribuiscono non poco allo stato d’angoscia un montaggio isterico, la fotografia sgranata che nel finale diventa quasi bianco e nero, e una colonna sonora dove regna il rumore. Insomma i mezzi del cinema. E il premio della miglior regia al Sundance Film Festival ci pare un doveroso riconoscimento. A fare compagnia allo stile della regista ci sono anche le straordinarie interpretazioni delle due protagoniste: Nikki Reed, che veste i panni di Evie, e l’incredibile Evan Rachel Wood che riesce a trasmettere ad un tempo la rabbia, la fragilità, il disorientamento, la frustrazione e la paura di un’adolescente in crisi con un’intensità che non ha nulla da invidiare a quella di colleghe ben più navigate. Tanto che persino le ottime interpretazioni di Holly Hunter e di Deborah Unger passano in secondo piano rispetto a quella di questa giovane interprete. Insomma, uno spaccato su un certo tipo di adolescenza, una nuova testimonianza della violenza americana, e una storia attraente e ben raccontata. Aspettiamo Catherine Hardwicke, fiduciosi, al suo secondo film.
[novembre 2003]
regia: Catherine Hardwicke,sceneggiatura: Catherine Hardwick e Nikki Reed, interpreti: Evan Rachel Wood, Nikki Reed, Holly Hunter, Brady Corbet, Kip Pardue, fotografia: Elliot Davis, montaggio: Nancy Richardson, musica: Mark Motherbaugh, durata: 100’, distribuzione: 20th Century Fox
