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To the Wonder

Pubblicato il 4 luglio 2013 da Salvatore Salviano Miceli
VOTO:


To the Wonder

Catturare l’universo di metafore, simboli, riferimenti che anima il cinema di Malick dai suoi esordi ad oggi, oltre che poco significativa, risulterebbe operazione impossibile. Ancora più nelle ultime pellicole, l’autore texano ha iniziato un processo di rarefazione dell’elemento narrativo che lo porta ormai a comunicare quasi esclusivamente per immagini.
La "parola", scissa dalla sua dimensione diegetica, e consegnata quasi esclusivamente al fuori campo, si trasforma essa stessa in dato visivo. La si ascolta ma, ancora di più, la si osserva. Così il flusso di coscienza di ogni singolo personaggio diviene un collage da scrutare, una ulteriore tonalità da scorgere sullo schermo.
Entrare in relazione con un film di Malick pretende, come necessario presupposto, il mettere da parte nozioni e aspettative di concetti quali linearità e cronologia. Ancora più radicalmente sarebbe corretto dimenticare, almeno per un attimo, qualsiasi aspettativa. Perché il "racconto" di Malick procede verso direzioni che non appartengono alla consueta esperienza spettatoriale, secondo modalità che quasi mai corrispondono a ciò che si intende comunemente per "storia". Eppure una storia Malick la racconta ormai da tempo. Ed è una storia che unisce Uomo, Natura e Dio, abbandonando un approccio analitico per abbracciare una visione in grado di prendere tutto, e al medesimo tempo, in considerazione.
To the Wonder è parte integrante di The tree of life. Non ne rappresenta solo un ideale secondo capitolo quanto, piuttosto, un’appendice. Appendice visiva, concettuale ed emotiva. Ed anche in questo caso, come accaduto per il film vincitore della Palma d’oro a Cannes, si avverte forte l’eco di tutti quegli interrogativi che già animavano The thin red line. Ancora una volta Malick offre ospitalità ad una ricerca. La ricerca, vana, della via più giusta per amare. Vana perché non esiste relazione d’amore che possa dirsi bilanciata e paritaria. Non tra due esseri umani e meno che mai tra Uomo e Dio o Uomo e Natura. Ci sarà sempre chi avrà la certezza di un amore incrollabile e forte e chi, al contrario, possederà la consapevolezza, amara e lacerante, di un amore non definitivo o totalizzante. È difficile essere colui che ama di meno. È difficile averne la forza. Si trova forse qui, in questa frase pronunciata da un sacerdote smarrito nel suo rapporto con Dio (Javier Barden), il senso dell’intero film.
Tutto in Malick si confronta con la fine. Nonostante però si avverta con facilità un motivo di precarietà, con uguale forza avanza un pensiero di eterno. Avviene da sempre nel cinema di Malick e To the Wonder non costituisce eccezione. È come se tutto venisse messo alla prova e portato al suo compimento finale, per suggerirne poi una ideale prosecuzione. Questa spiritualità, innegabile e straordinariamente presente, non sembra riparare in chissà quali possibilità ultraterrene. Al contrario, trova la sua manifestazione più concreta nella materia di cui è fatta la vita. La si tocca e la si osserva nell’uomo, carne e sangue, e, ancora di più, in ogni espressione della natura. Ecco il perché dello stupore con cui Malick guida il suo sguardo. Un stupore infantile, figlio della necessità di esplorare, scoprire e capire. Uno stupore che rende ogni sequenza del suo cinema, anche quella che pare essere frutto di retorica e banalità, pura e dannatamente più profonda di quanto non appaia.


CAST & CREDITS

(To the Wonder); Regia, sceneggiatura: Terrence Malick; fotografia: Emmanuel Lubezki; montaggio: ​​A.J. Edwards, Keith Fraase, Shane Hazen,​ Christopher Roldan, Mark Yoshikawa; musiche: Hanan Townshend; interpreti: Ben Affleck (Neil), Olga Kutylenko (Marina), Rachel Mcadams (Jane), Javier Bardem (Padre Quintana); produzione: Film Nation Entertainment, Brothers K Productions; distribuzione: 01 Distribuzione; origine: USA 2012; durata: 112’.


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