Tropa de Elite - Gli squadroni della morte

Tropa de elite è un film al cui confronto City of God non sfigurerebbe per la proiezione parrocchiale della domenica pomeriggio.
Dopo un inizio sfolgorante con il binomio Scorsese/Rolling Stones da un lato e Anderson/Day-Lewis dall’altro, questa 58° edizione sembrava pericolosamente entrata in una spirale di pellicole intimiste, imperniate soprattutto su drammi familiari o matrimoniali. Invece a sorpresa arriva una pellicola fortemente disturbante e moralmente non priva di ambiguità, ma che quantomeno ha il merito di affacciarsi al mondo di fuori. Il brasiliano Tropa de elite, opera prima del documentarista Josè Padilha ambientata nella Rio de Janeiro del 1997, ribalta il punto di vista di City of God di Fernando Meirelles e Katia Lund (con cui condivide lo sceneggiatore Braulio Mantovani) decidendo di assumere non più il punto di vista dei ragazzi di strada e la loro vita di espedienti sempre sul filo del rasoio, bensì quello dei loro coetanei che scelgono di entrare in polizia e condurre un’esistenza in cui il rischio di morire ogni giorno è esattamente identico. La polizia brasiliana, inoltre, è irrimediabilmente corrotta, quindi molto simile come struttura gerarchica a quella del “nemico”: non proprio dunque il posto giusto per due i giovani idealisti come Neto e Matias che credono ancora nelle regole. Delusi dal sistema vedono una possibilità di “purezza” nel corpo speciale della Tropa de Elite comandato dal Capitano Nascimento, giovane ma ormai sull’orlo della crisi a causa del terribile e continuo stress dovuto alla sua professione di soldato in trincea sette giorni su sette, ventiquattro ore al giorno, e alla ricerca di un sostituto.
Padilha infatti si premura subito di infomare lo spettatore che quella che si svolge a Rio dieci anni fa (e oggi?) è soprattutto una guerra: non criminalità, nè violenza, ma una guerriglia continua che miete decine di vittime ogni mese, in cui un centinaio di soldati si muove nelle favelas come gli yankees nelle foreste affollate di vietcong. I dati sulla mortalità sono impressionanti: la decisione però di assumere il punto di vista privo di incertezze di Nascimento (con una continua e fastidiosa voce narrante) conferisce a tutto il film una allure epico-romantica decisamente fuori luogo, tenuto conto che la selezionatissima elite militare è sinistramente vestita di nero, ha come simbolo teschi su pistole incrociate e si forma attraverso un addestramento fascistoide che mira all’annientamento della personalità dell’individuo. Ambiguità che si acuiscono ulteriormente nella rappresentazione invece della classe media degli universitari come dediti solo alle feste e alla marijuana o con le ragazze che lavorano nelle ONG per il loro stupido idealismo ma finiscono per combinare solo guai.
Certo, il regista sottolinea come Nascimento perda gradualmente il controllo e il contatto con la realtà a causa del suo lavoro, e come Neto e Matias diventino due macchine da guerra pronte ad uccidere, incolpando di tutto ovviamente il sistema: tuttavia la scelta estetica di un montaggio convulso e frammentario, quasi sempre con macchina da presa a mano, mira all’identificazione emotiva sia con le guardie che con i ladri, anche se entrambe le fazioni si macchiano di una serie di torture e delitti sempre più impressionanti. Il moltiplicarsi di situazioni e personaggi nella prima parte del film risulta difficile da seguire, ma poi si incanala in un parossismo di tensione: non c’è spazio per la minima speranza, qualsiasi spiraglio potenzialmente poetico si trasforma in una lezioncina didattica dal finale immancabilmente crudele.
(Tropa de Elite); Regia: Josè Padilha; sceneggiatura: Josè Padilha, Rodrigo Pimentel, Braulio Mantovani; fotografia: Lula Carvalho; montaggio: Daniel Rezende; musica: Pedro Bromfman; interpreti: Wagner Moura (Capitano Nascimento), Andrè Ramiro (Matias), Caio Junqueira (Neto), Milhem Cortaz (Capitano Fabio), Fernanda Machado (Maria), Maria Ribeiro (Rose); produzione: The Weinstein Company; origine: Brasile 2007; durata: 118’
