Tropic Thunder

Di certo il Ben Stiller che opera sia come regista che come attore è maggiormente apprezzabile rispetto a quello che si limita ’semplicemente’ ad essere attore, perché è libero di spaziare oltre la piccola parte di film che gli viene concessa dalla mdp guidata da altri. E lo Stiller autore completo mostra piuttosto una particolare intelligenza cinematografica, capace anche di creare un percorso ben preciso che, a partire dalla sua opera seconda, ha mostrato un evidente trait d’union: il disvelamento della falsità che si cela dietro il velo che copre la società dello spettacolo, la quale è biunivocamente legata a quella dei consumi. Perché dove Il rompiscatole intellettualisticamente – e con coraggio comico – analizzava l’invadente surplus di informazione e comunicazione che di lì a poco avrebbe bussato alle nostre porte, con tutta la sua ridda di bugie che vogliono essere considerate verità conclamate, Zoolander realizzava un piccolo gioiello di equilibrismo demenziale sulla stupidità insita nel vanesio egocentrismo del corpo che vuol solo essere oggetto di contemplazione, sfruttato come se fosse agito dagli altri, divenendo incapace di agire di sua iniziativa.
Qui, in Tropic Thunder, Stiller si offre con meno coraggio rispetto alle sue prove precedenti, ma riesce comunque ad assestare un fendente contro Hollywood – un colpo basso, ma non troppo - attraverso un sorriso quasi sardonico, regalandoci un film che vuole distinguersi da quella messe di cinema sul quale ironizza, in un vero e proprio processo di distanziamento proprio dell’analisi più profonda.
Cinema che fin da subito sale sullo schermo, come se questo fosse il palcoscenico sul quale recitare la gran commedia della vita. Tanti trailer, l’uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità, cerchio senza fine che si morde la coda, il cerchio nel quale Hollywood rinchiude un modo di fare cinema, proponendolo come unica possibilità per catturare e interpretare la realtà: si tratta dell’immagine cinematografica degli attori che ora elencheremo. Ben Stiller è Tugg Speedman, interprete del ruolo fisso del muscoloso salvatore del mondo ogni volta sull’orlo dell’apocalisse, ma ormai indirizzato lungo il viale del tramonto, discesa acuita ancora più dalla recita in Simple Jack, incentrato sulle vicende di un ragazzo ritardato che sa parlare agli animali, tentativo per vincere l’Oscar, ma giudicato piuttosto come il peggior film di tutti i tempi. È in cerca di riscatto anche Jeff ’Fats’ Portnoy (Jack Black), star planetaria della commedia più volgare, oltre che tossidipendente. Chi, invece, è un vero artista è l’australiano Kirk Lazarus (un Robert Downey Jr. dalla suadente profonda voce), vincitore di ben Cinque premi Oscar, emblema dell’Accademia, capace di studiare meticolosamente per mesi una parte. Poi abbiamo Alpa Chino (Brandon T. Jackson), rapper che ha una vera idolatria nei confronti dell’interprete di Scarface: dopo aver regalato al mondo musicale hit come ’I Love Tha’ Pussy’, sta tentando la scalata al cinema. La strampalata combriccola è chiusa dallo sconosciuto Kevin Sandusky (l’esordiente Jay Baruchel) che si distingue bene in mezzo a quel team di viziate prime donne grazie alla sua modestia e dedizione al lavoro. Tutti si ritroveranno sul set di Tropic Thunder, film di guerra ambientato nel Vietnam e basato sulle memorie dell’eroe John ’Four Leaf’ Tayback (Nick Nolte) che ha perso entrambe le mani durante un valoroso combattimento; nella finzione verrà interpretato da Tugg. Il set molto costoso, in pieno stile americano: peccato che un incidente nell’utilizzo degli effetti speciali distruggerà tutto, causando le ire del produttore Les Grossman (un Tom Cruise rabbioso, velenoso, e anche un po’ inquietante, quasi irriconoscibile vestito di barba lunga e di calvizie, ma di certo bravo). A quel punto il giovane e stressato regista inglese Damien Cockburn, il quale non riesce a sedare le rivalità e le invidie all’interno del cast, deciderà di aggiungere un maggiore realismo alla sua creatura: i cinque verranno mandati nella ’vera’ giungla, senza alcun comfort, con accanto solo l’occhio vigile del regista, oltre che di tante videocamere, senza che gli attori ne conoscano le ubicazioni.
Ben Stiller è assai interessato alla tematica dell’apparire, ossia del recitare: così come Jim Carrey interpretava la parte del bravo ragazzo ne Il rompiscatole, altrettanto recitavano i personaggi negativi che circondano Derek Zoolander, veri inni alla maschera da indossare, sadici contraltari allo spirito naif dei modelli Derek e Hansel, i quali della maschera sul palcoscenico hanno fatto la loro ragione di vita, eppure rimanendo, nonostante ciò, sempre puri. In questo suo ultimo film Stiller continua nel tratteggiare personaggi che appartengono alle sfere contrapposte dei ’cannibali’ e delle ’vittime’: cannibalesco è il produttore Grossman, cannibali sono i trafficanti di droga ’Flaming Dragons’ che rapiranno Tugg, costringendolo a ripetere le scene di Simple Jack – il loro film preferito – fino allo stremo, su di un palcoscenico nella giungla, apprezzando le sue ’capacità’ recitative, ma pungolandolo di continue botte per costringerlo a recitare. E Stiller ci parla della vanità che è legata al successo. Perché Tugg apprezzerà talmente tanto il suo nuovo pubblico, che forse non vorrà neanche più staccarsene, evidenziando bene il rapporto di vampiristica osmosi che si instaura tra performer e audience.
Ma la ricerca dell’equilibrio in Tropic Thunder passa soprattutto per la rivalutazione dell’aspetto umano all’interno del cinema. Film tutto incentrato sugli attori (prova ne è il cast ricco di grandi nomi, quasi una riflessione metacinematografica su se stesso), grazie a loro troverà una redenzione, così come accadrà a loro quando capiranno veramente la differenza tra realtà e immaginazione.
Tra citazioni da Apocalypse Now e Salvate il soldato Ryan, Stiller non sempre riesce a sfuggire al genere bellico e all’immagine eroica che vorrebbe prendere in giro. In alcuni momenti si assiste a una certa ridondanza di situazioni, soprattutto nell’ultima parte: aggiunte su aggiunte che, piuttosto che dare vita a un universo sempre più frenetico e folle, ingenerano un senso di stanchezza, senza alcuna meraviglia. Comunque, nonostante una cattiveria non così profonda e la ricerca di una certa ’normalità’ espressiva, il risultato finale è tutt’altro che disprezzabile. E questo potrebbe anche bastare.
(id.); Regia: Ben Stiller; sceneggiatura: Ben Stiller, Justin Theroux ed Etan Cohen; fotografia: John Toll; montaggio: Greg Hayden; musica: Theodore Shapiro; interpreti: Ben Stiller (Tugg Speedman), Robert Downey Jr. (Kirk Lazarus), Jack Black (Jeff ’Fats’ Portnoy), Brandon T. Jackson (Alpa Chino), Jay Baruchel (Kevin Sandusky), Danny McBride (Cody), Steve Coogan (Damien Cockburn), Tom Cruise (Les Grossman), Nick Nolte (John ’Four Leaf’ Tayback), Matthew McConaughey (Rick Peck); produzione: DreamWorks SKG, Red Hour Films, Road Rebel; distribuzione: UIP; origine: USA, 2008; durata: 107’; web info: sito ufficiale.
