Ubu Fuori Porta - Andreoli di Nazareth
Per te sono un ateo, ma per Dio sono una leale opposizione
Woody Allen
Marino, Museo Civico “Umberto Mastroianni” - Strani oggetti vengono distribuiti all’entrata dell’ex-Chiesa. Provengono tutti dalla Palestina, primi secoli dell’era cristiana. Il bigliettino attaccato sopra una bustina con dentro dei cotton fioc recita: Reperto 9341: strumenti di origine ignota ritrovati presso il fiume Giordano. Pare venissero utilizzati per ascoltare meglio il volere del Signore.
O ancora, in una bustina con dentro del riso: Reperto 1287: Riso pagano. Buono con lo zafferano. II sec. D.C., Ebron.
Resti di una Storia diversa. O forse, e più terribilmente, resti della Storia che conosciamo.
Spettacolo che cerca il centro di un labirinto irto di trappole, spettacolo che supera arditamente queste ultime –dovrebbe averne paura? Forse dovrebbe...-, Andreoli di Nazareth, andato in scena durante la seconda giornata della rassegna Ubu Fuori Porta, va ben oltre quello che ad una superficiale fruizione può apparire come un accorato attacco all’istituzione cardine, nel bene e nel male, dell’Occidente -la Chiesa Cattolica Romana.
Marco Andreoli, l’autore/regista/attore, è da solo in scena. Dalla pura narrazione passa con disinvoltura alla lettura scenica, dal video alla denuncia sociale, politica e, non ultima, teologica. Dà il nome di format a questa articolata struttura. Ma dalle crepe spettacolari presenti nella messa in scena, nel fluire della rappresentazione, emerge con forza qualcosa altro.
Marco Andreoli ha trentatré anni quando inizia a comporre questa opera. Ha letto la Bibbia, e, come asserisce lui stesso <<se l’è letta di gusto, come fosse Tolstoj>>. Si avverte, ad ogni battuta, ad ogni pesante passo compiuto sulla ridotta scena, che questo format è l’artificioso ingresso innalzato da lui stesso per permetterci di entrare dentro la sua –la nostra, in definitiva- impossibile ricerca. Un viaggio che lo avvicina inesorabilmente all’ “Io” protagonista della battuta di Woody Allen che reca, come un’epigrafe -si, come un’epigrafe- in apertura questo pezzo.
Non cerca di tenere sempre la destra –“regola aurea” per trovarne il centro o l’uscita- per risolvere il suo labirinto, Andreoli; al contrario, erra instancabilmente tra <<fatti>>, video surreali nella loro mostrazione di una realtà che sembra, tutt’al più, iperrealtà, e narrazioni mitico-personali dalla forte carica tragicomica. Tutti artifici necessari a sezionare, con diversi pesi, misure, colori, sofferenze, il complesso volto di Giano in cui si specchiano da un lato la religione, la fede, il mistero, e dall’altra la Chiesa e la sua spietata storia millenaria.
E Andreoli parte dall’inizio, dall’evento da cui tutto ciò ebbe origine. Dimentica, giustamente, il Dio dell’Antico Testamento, un Dio vendicativo e violento, manipolatore e spietato persecutore di popoli, uomini, Dei. Un Dio non nostro, frutto di un’eredità, di un passaggio di consegne ancora oggi scomodo. Dimentica tutto questo e si concentra su una figura a noi più congeniale, più rassicurante, più umana. Ecco dunque la storia di un’accozzaglia di ragazzini della Palestina stretta nella morsa di Roma –corsi e i ricorsi storici...-, la storia del loro indiscusso leader, Gesù, e di chi cresceva alla sua ombra, Max. Manipolare le vicende del più grande evento dell’umanità –almeno per questa sezione del globo terracqueo- è un peccato originale che comporta un crollo totale, definitivo. La storia si avviluppa su stessa, e Gesù, il figlio di Dio, viene ucciso per sbaglio. Ed è proprio Max a raccoglierne, maldestramente, l’eredità -letteralmente, divina. Ha in sé le parabole, i miracoli, la morte, del suo amico fraterno. Ma, essendo solo un uomo, a cui nessuna ipostasi ha donato l’essenza divina, fallisce. E fallendo, trascina con sé il mondo nella sua perdizione. La sua esistenza si blocca ai trentatré anni: non invecchia più, e di fatto è condannato a vagare per le ere umane come un novello Ebreo Errante –altra, vertiginosa, infamia . Incontra perfino Costantino, anche esso emblema di una fede falsa e corrotta, ma l’agnizione purificatrice non avviene. Vista l’assonanza del nome Max, viene in mente, alla luce di quanto narratoci da Andreoli, un’altra battuta di Allen: <<Dio è morto, Marx è morto... e anche io oggi non mi sento molto bene>>.
Dal racconto mitico-personale, a tratti davvero esilarante, si passa poi a mostrare i nudi, e spietati, fatti. Da una lunga lista che, purtroppo, ci viene risparmiata, Andreoli tira fuori l’8x1000 –con annesse trappole finanziarie di svariati miliardi di euro- e gli errori di traduzione di concetti cardine contenuti nella Bibbia –errori molto “umani” per chi asserisce, citando Sant’Ignazio, che <<Là dove è Cristo Gesù, ivi è la Chiesa cattolica>>.
Fatti che vengono surclassati dalle proiezioni video del videogioco in flash Bible Fight o di un predicatore-bambino che arringa la folla con tesi di stampo nazifascista che negano l’evoluzionismo. Come scritto sopra, realtà altra che è iperrealtà.
Forse appesantito da qualche lungaggine di troppo, lo spettacolo-format cambia pelle fluidamente nei suoi calibratissimi passaggi di medialità, frutto di una scrittura scenica compatta e misurata, mai virata all’eccesso. Andreoli, poi, dona alla rappresentazione un’uniformità di tono e gestualità che, se forse a tratti appesantisce lo scorrere dell’opera, ci restituisce lo sterminato sforzo interiore con cui attraversa questa sua ricerca.
Il colpo di coda, però, è dietro l’angolo. E’qui è presente nello splendido finale, in cui un Dio digitalizzato si reca dallo psicanalista per, semplicemente, parlare un po’ con qualcuno. Un Dio che, nella sua solitudine, è simile a Marco Andreoli.
Scritto, Diretto ed Interpretato da: Marco Andreoli Web Info: Ubu Fuori Porta, Circo Bordeaux