Ubu Fuori Porta - Kristo 33
Marino, Museo Civico "Umberto Mastroianni" - Un (K)Cristo anarchico, apolice, anti-passionale, anti-redentore... Un (K)Cristo, se ci passate questa piccola blasfemia, figlio dell’unico, vero, anti-padre possibile, Flavio Sciolè.
Emblematica summa del percorso artistico, vitale, dell’anti-artista Flavio Sciolé, Kristo 33, video presentato durante la rassegna Ubu Fuori Porta, reclama su di sé, scardinandolo perfino, il concetto-simbolo dell’evento stesso, l’ “alterità” –qui declinata come alterità artistica, economica, organizzativa, produttiva.
Lo sfondamento di ciò che sta alla base dell’intima sfera che avvolge l’operato del consorzio Ubu Settete e di Amnesia Vivace –organizzatori dell’evento-, Sciolè la pratica ancor prima del concepimento e della focalizzazione di ogni fare artistico. In lui il gesto creativo si identifica indissolubilmente con il gesto vitale, rendendo l’uno l’estensione dell’altro, provocando una perfetta equiparazione che, per restare in tema, diventa consustanzialità irreversibile. E questa produzione video non è da meno, traslando i meccanismi che stanno alla base di Teatro Ateo nella grammatica cinematografica con cui è costruita l’opera.
Letteralmente spalmato, appiattito, sullo schermo, sta Kristo-Sciolè, mentre risale una montagna lussureggiante sovrastata da una nostrana ghost town. Eccolo quindi percorrere le vie e i sentieri di questa vuota, e silenziosa, cittadina, divenendo in modo macabro l’unico suo, temporaneo, abitante.
La recitazione inceppata, sia fisica che vocale, crea uno spiazzante effetto di ridondanza, tra l’incerta vitalità del performer e il tempo congelato –a chissà quando, ci chiediamo- della ghost town. Nella sua continua, e sacra, “deriva” –frutto di un equilibrato montaggio in macchina- lo vediamo contorcersi ed arrancare, dubitare e soffrire. Come in Icaro Caro d’Oro Cosparso –recentemente messo in scena al Rialtosantambrogio di Roma-, Sciolè recupera una figura chiave dell’immaginario mito/logico occidentale –in questo caso la figura cardine, nel bene e nel male, dell’Occidente- de-costruendola da ogni legame con un’asfittica tradizione per ri-comporla con nuove aggregazioni di senso e significato –il cui risultato è programmaticamente disorientante. La reiterazione dei termini primi che individuano l’intima essenza del personaggio mito/logico portato sullo schermo, in questo caso “Dio” o “Crocifissione” o “Figlio”, e la loro ri-composizione, portano a nuove aggregazioni sintattico-verbali, arrivando perfino ad inserire all’interno del processo I’m waiting for my man dei Velvet Underground.
Un anti-cinema, un’anti-arte, che trova in se stessa la sua intima ragion d’essere e di senso. Sempre e comunque distanti dalla fruizione e dal senso che permeano la visione di uno spettatore a digiuno dei tanti, e indispensabilmente ossessivi, anti-.
Video di: Flavio Sciolè Web Info: Ubu Settete, Amnesia Vivace, Flavio Sciolè/Teatro Ateo