Ubu Fuori Porta - San Giorgio - Il Drago
Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago
Apocalisse 13, 11
Marino, Museo Civico "Umberto Mastroianni" - Per circa due millenni li abbiamo visti avvelenare, lottare, sanguinare, uccidere. Ma la realtà è ben diversa, poiché quei due uomini vanno a caccia, guardano le stelle, abitano la stessa casa. Quei due uomini, cari fedeli, sono San Giorgio e il Drago.
Inizia con questo disorientante sillogismo lo spettacolo San Giorgio – Il Drago di Teatro Forsennato –compagnia romana che ha al suo attivo opere quali Sangue Palestinese (2003), Makilè – la bambina nel grande serpente (2007), Le figurine mancanti del 1978 (2006), che andrà in scena durante questa rassegna sabato 5 luglio-, lavoro che apre la “sagra di alterità teatrali” Ubu Fuori Porta, costola estiva ed extra-cittadina dell’oramai storica rassegna di teatro indipendente Ubu Settete.
E l’inizio, come riportavamo poco sopra, non poteva essere più spiazzante. Selezione Premio Scenario 2007, San Giorgio – Il Drago ci presenta i due personaggi centrali per l’iconografia sacra e non di tutte le Chiese cristiane in un’insolita, e feconda, nuova veste: due semplici, normalissimi, uomini. L’operazione compiuta da Dario Aggioli –direttore artistico di Teatro Forsennato, qui in veste di autore e regista- prende le mosse dalla stratificata ed inscindibile tradizione storico-artistica, per, consapevolmente, eluderla, e ridarci così una storia che dall’immenso scarto con il mito trova gran parte della sua vitalità e potenza.
La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze –straordinario compendio agiografico che raccoglie circa centocinquanta narrazioni di questo genere- descrive in pagine famose l’uccisione da parte di San Giorgio del Drago che terrorizzava la città di Selem, a cui gli abitanti offrivano dei giovani per placarne la fame. Da mera variante di un qualunque modello attanziale, la vicenda si trasforma nel corso dei secoli in fulgido archetipo, innalzando San Giorgio a megalomartire (“grande martire”) onorato sia in Oriente che in Occidente, e relegando il Drago, letteralmente, agli Inferi –diverrà, ora con maggior forza, nonostante fosse già stato così descritto nell’Apocalisse, emblema imperituro di Satana stesso. Questo il sostrato storico-religioso da cui prende le mosse il lavoro di Teatro Forsennato per divenire ben altro.
Altro che è discorso di natura politica, altro che è, specularmente, un “altro”. E ciò a partire dal materico, dal carnale, con la presenza in scena di due attori molto differenti –per presenza fisica, gestualità, vocalità- tra loro: Vincenzo Occhionero/Drago e Angelo Tantillo/San Giorgio. Le corporalità opposte ma complementari dei due interpreti -oltre a garantire una perfetta armonia di pieni e vuoti, di leggerezza e ruvidità sulla scena- introducono uno iato di segno, e di significato, davvero notevole. Di segno: il San Giorgio patrono d’Inghilterra e dell’Ordine della Giarrettiera, soldato della guardia personale dell’imperatore Diocleziano, è davvero quell’esile, ed impacciato ed indifeso, uomo? E il Drago possente dalle ali gigantesche e dalla lunga coda, che ornava gli stendardi dei re germanici d’Inghilterra, è davvero quell’uomo legato mani e piedi, la cui barba rossa rimane l’unico eco lontano della grandezza di un tempo? Di significato: un uomo pauroso, bugiardo e truffatore, è stato davvero San Giorgio? Un uomo asservito, stolto e umiliato è stato il grande Drago?
E’questo l’interstizio cercato, e trovato, da Aggioli e Teatro Forsennato tutto, spazio in cui si può quindi scoprire una latente -salda nell’intimo di ogni essere- xenofobia; o dove i rapporti umani vengono prevaricati da/o instaurati sotto una logica capitalistica di facile presa, e dai torbidi risultati.
San Giorgio risparmia il Drago perché questo ultimo è capace di comprendere le sue parole, di imparare, di essere anche esso un essere umano. Gli risparmia la vita poiché è un elemento da immettere all’interno del proprio tessuto sociale, e non un virus alieno da rigettare -e se si pensa che il Drago della leggenda era identificato comunemente con l’Islam (ricordiamo che ci trovavamo in piena epoca crociata), nemico primo ed ultimo, oggi come allora, dell’attuale tecnocrazia occidentale, l’atto compiuto dal “Santo” appare ancora più emblematico e gravido di conseguenze storiche.
E ancora: il San Giorgio mostratoci da Aggioli è un cacciatore pavido e ignorante, ricollegandolo così all’etimo del suo stesso nome –georgos in greco vuol dire “agricoltore”-, e, quasi ci sembra di carpire, instaurando un dualismo foriero di significati tra l’ignoranza umana madre della paura e dell’autarchia mentale, fisica, in ultimo razziale, e la saggezza propria del Drago –attributo che nei secoli di dominio intellettuale cattolico era stato completamente occultato per favorire quell’identificazione luciferina che poco sopra ricordavamo.
Basta poco ad inscenare questo complesso magma umano: un bastone –la lancia del Santo?-, una coperta che funge da riparo, pavimento, vestito di gala. Pochi e calibratissimi cambi di luce incorniciano la vicenda entro i giusti toni emozionali, esaltando ancor di più la tragicomica coppia costituita dai due millenari antagonisti, che hanno in Occhionero e Tantillo dei formidabili esecutori.
E, in ultimo, il San Giorgio messo in scena da Teatro Forsennato non ricorda forse un passo del Manuale di Zoologia Fantastica di Jorge Luis Borges?
Scrive così il grande bibliotecario argentino: <<Chuang-Tse ci racconta d’un uomo tenace che, in capo a tre anni d’improba applicazione, s’impadronì dell’arte di uccidere draghi; e che, in tutto il resto dei suoi giorni, non trovò una sola occasione di esercitarla>>.
Ideato e Diretto da: Dario Aggioli Con: Vincenzo Occhionero, Angelo Tantillo Web Info: Ubu Fuori Porta, Teatro Forsennato, Premio Scenario