Una voce nella notte

Gabriel Noone (Robin Williams) è uno scrittore che da anni conduce una trasmissione radiofonica notturna. Non solo soffre di un blocco dello scrittore, ma è stato appena abbandonato dal suo compagno Jess (Bobby Cannavale). Nelle sue mani perviene il manoscritto del quattordicenne Pete Logand (Rory Culkin), che racconta gli orrori degli abusi subiti dal ragazzo da parte del padre e della madre. Noone inizia a fare lunghe conversazioni al telefono con Pete e Donna, la psicologa che l’ha adottato (Toni Colette). Ma col tempo inizia a dubitare dell’esistenza stessa di Pete, e decide di incontrarlo di persona. Noone parte così alla ricerca della verità, e nel viaggio che affronterà vacilleranno tutte le sue certezze.
Tratto dall’omonimo romanzo di Amistead Maupin, il film si dipana tutto intorno alla questione dell’esistenza di Pete (trattandosi di un thriller, in questa sede non sveleremo troppo dell’intreccio). Proprio a tale questione si deve lo sviluppo della storia. Il film presenta una falsa oggettività iniziale. All’inizio i personaggi sono reali, le voci al telefono hanno dei referenti fisici, dei corpi mostrati limpidamente. Fino a quando non nasce il sospetto che Pete e Donna in realtà non esistono. Da questo momento in poi viene messo in crisi quello che era stato mostrato prima; non sappiamo più se ciò che abbiamo visto esiste o proviene dall’immaginazione di Noone. Da questa falsa oggettività passiamo così ad una soggettività più esplicita; seguiamo così Noone nella sua indagine, e man mano che la storia si dipana ci avviciniamo ad una vera oggettività, che coinciderà chiaramente con la risoluzione della storia. Una voce nella notte è un film fatto di voci al telefono. Il meccanismo drammatico vero e proprio del film si mette in moto infatti quando è messa in dubbio la credibilità di queste voci, quando non è possibile associare ad esse un’identità indiscutibile. E Noone, che ha costruito la sua carriera sulle “voci nella notte” in radio, deve affrontare e sciogliere tale dubbio prima di tutto per sé stesso. Tranne che per l’allestimento iniziale della storia, il film è tutto raccontato dal punto di vista di Noone, punto di vista precario ma ugualmente incontestato: esso è dubbio nella prima parte, quando realizziamo che una parte di ciò che abbiamo visto finora (essenzialmente le immagini di Pete e Donna all’altro capo del filo) potrebbe essere solo una proiezione della mente di Noone. Ma da lì in poi non viene più messa in discussione l’autorità dello sguardo del protagonista. Non ci chiediamo più se non sia tutto un’allucinazione di Noon (solo, sospettiamo che Noone abbia una certa volontà di credere alla storia). Quindi il punto d’osservazione del film, quando è soggettivo, resta comunque saldo, perché l’oggetto messo in crisi è collocato tutto all’esterno del personaggio. L’antinomia di base del film è tra verità e inganno, piuttosto che tra realtà e allucinazione. La realtà delle cose non è criticata, ma lo è la fede in questa presunta oggettività. Non c’è un vero e proprio gioco di percezioni (allo spettatore non viene mai a mancare il terreno sotto i piedi, insomma). Piuttosto assistiamo alla messa in scena di un dilemma, e poi alla ricerca vera e propria della verità. Pertanto il fatto che la telecamera indugi su specchi, vetri smerigliati e finestre sembra più che altro solo un suggerimento della complessa scoperta della realtà che il film mette in atto. La regia insiste sulle transizioni e la fotografia lascia spesso zone oscure nell’immagine. Nella narrazione rimangono insoluti diversi nodi (come la vera identità di un personaggio, e un ipotetico trauma subito da un altro). Fino all’ultima sequenza del film, Stettner lascia aperto uno spiraglio di dubbio. Ma la storia approda ad una soluzione ben definita, e la sequenza risolutiva chiarifica senza lasciare incertezze.
Noone deve fare i conti con la realtà, contrapposta al mondo che lui crea con la sua immaginazione. Lo scrittore è qui inteso come “ladro di storie”, il manipolatore della realtà che trasfigura la verità e la piega ai suoi fini, la consacra alla scrittura, all’esigenza di narrare. E’ questo forse l’unico aspetto negativo della personalità di Noone, personaggio altrimenti assolutamente positivo. Ma non è in gioco la sua espiazione, o la sua possibile trasformazione. (casomai si troverà di fronte a una sorta di contrappasso, affrontando forse lui stesso l’invenzione di una storia, che viene spacciata per reale). Il tema dalla scrittura (e altri, come la malattia di Jeff) nel film non viene sviluppato. Ne risente in parte la caratterizzazione di certi personaggi: Noone stesso, ad esempio, risulta un personaggio meno composito di Donna, che invece ha una psicologia intricata e appassionante nella sua ambiguità. Tralasciando quindi vari temi e sottotesti, Una voce nella notte si presenta come un thriller dal ritmo avvincente, che punta tutto sulla costruzione solida e lineare del suo intreccio.
(The Night Listener) Regia: Patrick Stettner; sceneggiatura: Armistead Maupin, Terry Anderson, Patrick Stettner; fotografia: Lisa Rinzler; montaggio: Andy Keir; musica: Peter Nashel; scenografia: Michael Shaw; costumi: Marina Draghici; interpreti: Robin Williams (Gabriel Noone), Toni Colette (Donna Logand), Bobby Cannavale (Jess), Rory Culkin (Pete Logand), Sandra Oh (Anna); distribuzione: Videa C.D.E. e Warner Bros. Pictures Italia; origine: U.S.A.; durata: 86’; web info: www.thenightlistener-movie.com
