Uovo critico - Psicopompo Teatro e Attilio Scarpellini

Tivoli, Teatrino Comunale - Incontro al limite, al confine, dentro le zone d’ombra della contemporaneità questo quinto appuntamento di Uovo critico si è svolto, non a caso, fuori dalle mura del piccolo Kataklisma Teatro, al Teatrino Comunale di Tivoli.
Policentrismo, indeterminazione, organicità della rappresentazione le cifre estetiche e teoriche messe in campo da Attilio Scarpellini –“critico d’occasione” attuale presidente dell’Associazione Indipendente di Giornalisti Lettera22, redattore del settimanale di cultura La differenza -e Psicopompo Teatro -gruppo romano fondato nel 2001 da Manuela Cherubini, Luisa Merloni e Patrizia Romeo, che ha nel suo carnet spettacoli come Artemisia, Hamelin (presentato all’ultima edizione di Short Theatre) e Criminal. Su di loro, su noi tutti, gravava la presenza sfuggente di Hermes, messaggero degli Dei olimpici e mito speculare a quello di Thot, dio egiziano della scrittura, additato come primo custode di una conoscenza sapienziale che trova in Ermete Trismegisto, Christian Rosenkreutz et similia i suoi più illustri rappresentanti. E psicopompo, letteralmente “traghettatore di anime”, era uno degli epiteti di Hermes...
Questa chiosa simil-erudita esplica il carattere singolare del lavoro di Psicopompo tutto, che nasce e si alimenta al confine di ogni forma di rappresentazione, testo, drammaturgia attoriale –lavoro che qui possiamo superficialmente riassumere come la negazione di una frase presente nella “prova aperta” presentata a Uovo critico: <<La vita non può essere complicata>>. Oltre ad esplicare –virando l’assunto al negativo, come abbiamo prima scritto- l’essenza del teatro di Psicopompo, questa affermazione assurge a pietra angolare de La stravaganza (La Extravagancia) , lo spettacolo interpretato da Simona Senzacqua ancora “prova aperta” –il lavoro, come ricorda Manuela Cherubini ai microfoni di Podoff, è iniziato da soli venti giorni- che Psicopompo sta tentando di estrarre da un testo di Rafael Spregelburd, attore-drammaturgo-regista argentino tra i più interessanti, e quotati, del momento. Secondo capitolo de l’ Eptalogia di Hieronymus Bosch (Heptalogìa de Hieronymus Bosch), serie di testi ispirati a I sette peccati capitali dell’artista olandese, la stravaganza diviene nelle intenzioni di Spregelburd uno degli stati etici e sociali preponderanti nell’attuale civiltà contemporanea –gli altri, ricordiamolo, sono, per ora, l’inappetenza, la paranoia, la stupidità, il pudore, il panico.
Rispetto ai peccati assoluti, definitivi, del mondo enigmatico e multiforme di Bosch e della sua epoca, le colpe immortalate dall’autore argentino assumono più la forma, ricordata prima, di stati etici e sociali, le cui radici e le cui conseguenze non trovano razionale e chiarificatore spazio all’interno del peccato stesso –che invece dovrebbe contenere in sé la ragione, e la natura, del peccatore e delle dinamiche che hanno portato al suo peccare. Maria Ascelle, Maria Streghe e Maria Aiuto, le tre gemelle alla ricerca di quale di loro sia quella adottata, sono tre –o solo una?- identità borderline che vengono private del minimo comun denominatore che ognuno di noi possiede –o che noi tutti ci illudiamo di possedere- : la sicurezza di esser nati. Scoprire di non-essere quel singolo che per lunghi anni, faticosamente, cerchiamo di mantenere integro, unico, equivale, appunto, a non-essere mai nati. Questo sottile stato vitale viene rimarcato da Spregelburd in sede drammaturgica: le didascalie del testo ci informano che tra le tre gemelle ce n’è una che è adottata, e che tutte e tre dovranno essere interpretate da una sola attrice –l’autore aggiunge, poi, che si tratta di un “anti-monologo”...
Le difficoltà insite in tutto ciò appaiono evidenti: quasi insormontabili quando chi andrà a mettere in scena il testo enuncia che <<Il teatro è l’attore>>. La Cherubini, infatti, si discosta dal regista-demiurgo citato da Scarpellini proprio per una particolare attenzione, ed esigenza, di partire dall’organicità per costruire un qualcosa che abbia una minima valenza in quello che noi chiamiamo Teatro. A conferma di ciò, la regista di Psicopompo sottolinea che ci deve essere una convergenza tra la sua direzione e la regia individuale degli attori –e, tra i presenti, c’erano anche Luisa Merloni e Patrizia Romeo- ; che alla complessità del testo scritto deve seguire una complessità dello stare in scena; e che, in definitiva, <<la verità assoluta è l’attore in scena>>.
Uno dei termini più citati dalla Cherubini è, appunto, l’organicità. Ma dalla diade organicità/astrazione postulata da Josè Sanchis Sinisterra –uno dei maestri riconosciuti dalla regista romana, non a caso fondatore nel 1977 del Teatro Fronterizo (“teatro di frontiera”)- ben presto, e grazie alla sapiente regia di Scarpellini, si è passati ad un livello ulteriore di riflessione –sfera dialettica che aveva al suo centro la complessità. Ben lungi dallo scadere in parzialità, o in uno sterile determinismo, il punto focale degli interventi della Cherubini, di Luisa Merloni, di Scarpellini, del pubblico, si è assestato sulle miriadi di scelte, possibilità, che attanagliano l’uomo del mondo contemporaneo: senza un Nord rimarcato da qualche stella o da una semplice bussola, senza una chiara riflessione etica, sociale, politica, estetica, che senso hanno sette, dieci, cento peccati? La colpa non sfuma in responsabilità –come avveniva già nel potente Hamelin- , o non ne è collusa? L’extra-vagare non diviene quindi la condizione esistenziale, lo stato primo ed ultimo dentro cui siamo prigionieri?
Ma questa situazione contraddittoria, questo essere in continuo movimento verso poli irraggiungibili, non può essere, per l’artista, foriera di spunti, terreno su cui innestare la sua opera? In fin dei conti, la Cherubini afferma che << La frontiera segna, dà origine all’individuo>>...
Gli spunti finali donati dal pubblico in questo interessantissimo incontro si soffermano sul rapporto tra complessità, teatro e scienza. Alcuni degli echi, delle modalità che muovono il lavoro della Cherubini prendono le mosse da una buona conoscenza delle più complesse teorie formulate in campo fisico, quantistico e matematico dagli scienziati del secolo scorso: principio di indeterminazione di Heisenberg, teoremi di incompletezza di Gödel...
La scienza, rifugio oggettivo e apparentemente immutabile, diviene un orizzonte sfumato che auto-afferma la sua incapacità di fissare o determinare un semplice qualcosa, dalle più piccole particelle subatomiche ai più estesi teoremi logico-matematici. E se il teatro della Cherubini e di Psicopompo tutto è immune da ogni riproposizione didascalica di quanto descritto, il crocevia di partenza rimane ciò che ne sta alla base: la complessità di ogni azione, pensiero, scelta, essere.
L’epigrafe che vogliamo apporre è il simbolo di ciò: asserendo che l’osservazione delle realtà liminare è un processo essenziale nel suo percorso, la Cherubini riportava l’esempio di due vecchiette che, in metropolitana, sedutesi contemporaneamente, scartavano altrettanto in sincrono due caramelle. Virtuosismo del reale che è capace di trarre uno spettacolo, una magia, da ogni sua infinitesimale manifestazione.
Ma secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg ogni elemento osservato viene influenzato dall’osservatore.
Ecco dunque la nostra iperbole: Manuela Cherubini, da stupita osservatrice, diviene essa stessa partecipe dell’infinitesimale manifestazione di quello spicchio assoluto di realtà.
E dello spettacolo, e della magia.
Web Info: Uovo critico, Kataklisma, Podoff, Psicopompo Teatro, Short Theatre, Rafael Spregelburd, Hieronymus Bosch, Lettera22, La differenza
