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Venere in pelliccia

Pubblicato il 14 novembre 2013 da Fabiana Proietti
VOTO:


Venere in pelliccia

Con un movimento sinuoso la macchina da presa penetra nel teatro parigino come il coltello nell’acqua del film d’esordio. Se c’è una cosa che questa Venere in pelliccia, in Concorso all’ultimo, ricchissimo Festival di Cannes, rivela è la forza intatta del cinema polanskiano.

Un cinema che non sente i segni del tempo, indagando con raffinate costruzioni gerarchiche la violenza reversibile dei rapporti umani, in cui il privato si intreccia alla Storia. Un cinema che affronta senza timore la derivazione teatrale come ne La morte e la fanciulla o Carnage, esaltandosi nella claustrofobia degli spazi chiusi. Le assi del palcoscenico su cui si muovono il regista Thomas (Amalric) e la sua misteriosa, mutevole interprete Vanda (Seigner), sono dunque terreno familiare per quello strano folletto dell’immagine che è Roman Polanski e il film diventa ben presto una summa delle sue ossessioni, di un immaginario artistico netto ma mai ripetitivo, come se la realtà fosse un prisma di cui la macchina da presa non riuscisse mai a cogliere le innumerevoli facce.

Ecco allora il bisogno di ritornarvi, mutando le angolazioni, invertendo continuamente le parti, come avviene nella relazione tra Amalric - dall’impressionante somiglianza con Polanski, destinato a essere prima o poi l’alter ego del regista - ed Emmanuelle Seigner, ora attricetta sguaiata vittima perfetta di un regista che maschera il proprio sadismo dietro il comodo distacco della cultura, ora gelida e raffinata seduttrice alla Sacher-Masoch, intenta a ridurre a nullità l’autore messo a nudo.

Polanski esplora il sadomasochismo del processo creativo fra demiurgo e creatura, ripercorrendo le vie tracciate ventun’anni fa da Luna di fiele, con la Seigner a offrire una nuova variazione sul personaggio di Mimi, immagine reificata, musa e carnefice del romanziere Oscar, fino al tragico epilogo. Lo fa come e più dell’ultimo Carnage, esasperando le angolazioni, sfruttando le potenzialità espressive della profondità di campo, invertendo il ruolo gerarchico dei due protagonisti fra primo piano e sfondo.

In questo gioco al massacro, lucido e spietato, ma sempre percorso da una sottile ironia - colta dalle note dell’impeccabile Desplat - il regista viene messo in croce dalla sua musa: nudo, truccato, sfatto come il Trelkovski del finale dell’Inquilino del terzo piano.

Il sacrificio rituale dell’autore alla divinità cinema è compiuto. La macchina da presa allora torna sui suoi passi, tra le quiete piovigginosa del boulevard parigino. Il teatro si richiude, lasciando sul suo palco Amalric-Polanski prigioniero delle sue visioni, dei suoi personaggi.
Di quegli incubi cinematografici di cui il piccolo pamphlet teorico della Venus à la fourrure rivela la mefistofelica, eterna giovinezza.


CAST & CREDITS

(Venus à la fourrure); Regia: Roman Polanski; sceneggiatura: David Ives e Roman Polanski, tratto dalla pièce Venus in Fur di David Ives ; fotografia: Pawel Edelman; montaggio:Margot Meynier, Hervé de Luze; musica: Alexandre Desplat; interpreti: Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner; produzione: Manon 3, Mars Film, Canal+; Ciné+, R.P. Productions e Monolith Films con Polish Film Institute; distribuzione: 01; origine: Francia, 2013; durata: (esempio) 142’; webinfo: Sito del distributore italiano


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