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Venezia 64 - Alexander Kluge 75

Pubblicato il 11 settembre 2007 da Giovanella Rendi


Venezia 64 - Alexander Kluge 75

Marco Müller non è solo un appassionato del cinema orientale ma è anche un grande amico del cinema tedesco. Lo aveva già dimostrato l’anno scorso con la scelta coraggiosa e provocatoria di inserire non in una sezione collaterale, ma proprio nel concorso, una coppia di cineasti “difficili” come Jean-Marie Straub e Danièle Huillet con Quei loro incontri, tratto da I dialoghi con Leucò di Pavese. Quest’anno ha scelto di tributare un omaggio ad uno dei più grandi cineasti e teorici del cinema internazionale come Alexander Kluge, nato nel 1932, anno di fondazione del più antico festival cinematografico del mondo. Uomo di cinema nel senso più completo del termine, in quanto non solo regista, ma anche teorico, storico, co-fondatore nel 1964 di quel “Manifesto di Oberhausen” destinato a rivoluzionare la storia del cinema tedesco (e non solo) ponendo le basi per la nascita dello Junger Deutscher Film di cui, solo più tardi, hanno fatto parte i più giovani Fassbinder, Herzog, Wenders. Personaggio, tuttavia, poco noto ai più, fuori dai confini della Germania, malgrado il Leone d’argento nel 1966 con il suo film d’esordio Abschied von Gestern (La ragazza senza storia), una delle prime opere a mettere sotto accusa il passato della “Germania senza lutto”, e il Leone d’oro due anni dopo per Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos (Artisti sotto la tenda del circo: perplessi) e numerosi testi sia di critica che di narrativa pubblicati anche in Italia.
In linea con la continua pulsione verso la sperimentazione del linguaggio che contraddistingue da sempre il teorico della cosiddetta “dottrina impura”, il festival di Venezia non ha programmato una tradizionale retrospettiva delle sue opere precedenti, bensì cinque “Lido-programmi” curati dall’autore che comprendono una serie di segmenti cinematografici tratti dalle trasmissioni Primetime e 10 vor 11 che Kluge realizza da anni per la televisione tedesca, e brevi “film da un minuto”. Questi ultimi costituiscono, secondo l’autore, una sorta di summa della storia del cinema in quanto coniugano sia i brevi spezzoni che rappresentavano il primo embrione di spettacolo agli albori del medium, sia il futuro dell’immagine, che si manifesta oggi nei brevi filmati in digitale che si diffondono attraverso Internet e YouTube. Se il primo programma, dal significativo titolo Il mio secolo, il mio mostro è composto da una serie di frammenti dei suoi film a significare come la storia non sia poi tanto cambiata, ovvero per usare le sue parole “i problemi sono inflazionati, le soluzioni diminuiscono”, il secondo, Il fenomeno dell’opera lirica, analizza quella che considera la sorella maggiore del cinema (entrambi concentrati di emozioni, fabbriche di sentimenti) attraverso uno sguardo che decostruisce l’enorme partitura dell’evoluzione borghese. Più ironico Nell’assalto del tempo contiene false interviste agli attori Peter Berling e Helge Schneider, che interpretano rispettivamente la bodyguard di Hitler e un uomo-rana destinato a proteggere la conferenza del G8 di Wannsee, che si colora di accenti grotteschi e surreali. La forza poetica della teoria è il tentativo di rappresentare cinematograficamente il pensiero filosofico da Aristotele a Heidegger, partendo dall’assunto di Walter Benjamin, secondo cui i pensieri sono immagini, e contiene l’interessante ricostruzione del tentativo di Ejzenštejn di filmare Il capitale di Marx. La magia dell’anima oscurata, infine, denuncia la follia della guerra con le immagini crepuscolari di Ground Zero e degli attacchi notturni in Iraq, e si conclude con la vicenda di un regista cieco (interpretato da Armin Müller-Stahl) che è un omaggio alla magia del cinema e al suo maestro Fritz Lang.
In questo caleidoscopico dizionario del cinema e del Novecento in pillole non mancano elementi documentaristici, colloqui con scienziati e premi Nobel su musica, economia, astronomia, filosofia: il meccanismo non è sempre fluido, talvolta appare ripetitivo, tuttavia Kluge (che sta al cinema tedesco come Godard a quello francese) ci ricorda che il meglio deve ancora venire, il cinema è un’araba fenice che risorge dalle sue ceneri anzi, per usare le sue stesse parole, “l’utopia migliora mentre l’aspettiamo”.


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