X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Venezia 64 - Conclusioni

Pubblicato il 12 settembre 2007 da Salvatore Salviano Miceli


Venezia 64 - Conclusioni

L’affluenza di pubblico, forse, non è stata delle migliori, colpa anche delle lunghe code e dei prezzi dei biglietti, ma la 64ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, l’ultima (a meno di non improbabili deroghe) diretta da Marco Muller, ha comunque portato sugli schermi del Lido un numero di pellicole di buon livello, specie all’interno della competizione ufficiale.
In controtendenza con le scorse edizioni, dove le cose migliori si trovavano spesso nelle sezioni collaterali, quest’anno, grazie anche allo stato di grazia di autori in passato apparsi un po’ appannati (De Palma su tutti), il concorso si è attestato, dunque, su una qualità media piuttosto alta. Grandi registi come Greenaway, Loach, De Palma, Rohmer (il suo Les Amours d’Astrèe et de Cèladon ha provocato reazioni contrastanti; straordinario per alcuni, opera minore per altri) hanno, chi più chi meno, dato prova di grande smalto. Tra gli altri, Anderson si è confermato autore raffinato con il suo The Darjeeling Limited, mostrando una nuova maturità espressiva mentre Branagh, lontano da Shakespeare, ha ben sfruttato la feroce scrittura di Harold Pinter rendendo più che interessante la sua rilettura del testo di Anthony Shaffer, già portato sugli schermi nel 1972 da Mankiewicz.
Discorso a parte merita il cinema italiano. Per un Porporati che si mantiene a distanza da qualsiasi rischio, confezionando una pellicola piuttosto neutra, Marra e Franchi tentano operazioni ben più azzardate con esiti per entrambi assai lontani dalla sufficienza. Stupisce che i selezionatori non si siano accorti della pochezza (ribadita senza tanti giri di parole dalle dichiarazioni dei giurati) in questione. Non basta, infatti, il coraggio di osare, comunque apprezzabile, per giustificare la presenza di titoli inadeguati al livello generale della competizione.
Con simili premesse, ci si aspettava, da una giuria composta da soli registi, un palmares molto più coraggioso, in grado di rendere onore alla qualifica di mostra d’arte cinematografica che Venezia si porta giustamente dietro. Se le prime premiazioni sembravano andare in questa direzione, il Leone d’Oro ad Ang Lee (film dignitoso ma non in grado di giustificare il secondo incenso in appena tre anni) pare svelare una difficoltosa e zoppicante strategia (per ben tre volte è stato disatteso il regolamento) adottata per non scontentare nessuno. Così ai due favoriti, Kechiche e Mikhalkov, vengono rispettivamente assegnati il Gran Premio della Giuria (ex-aequo con Todd Haynes, autore di un film bellissimo nonostante la sua complessità) ed il Leone Speciale per l’insieme dell’opera, mentre De Palma si deve accontentare della migliore regia e Loach di vedere premiato Paul Laverty con l’osella per la sceneggiatura. Si poteva fare di più e lo si poteva fare meglio, senza giocare con un regolamento ormai troppo facile da disattendere.
È anche stata la Mostra dei grandi maestri orientali, con un Takashi Miike forse un po’ deludente ma assolutamente geniale in alcuni passaggi al pari di un Kitano che sembra non volere più smettere di divertirsi (a volte eccedendo in banalità). Come non ricordare poi Woody Allen ormai sempre più emulo dei grandi tragediografi greci (onestamente però ci aspettavamo qualcosa in più) e Chabrol (come Rohmer, osannato ed odiato).
È stata la Mostra del Final Cut di Blade Runner, versione definitiva stando alle parole di Scott e della grande retrospettiva sul Western all’Italiana, sponsorizzata ma non assistita (un dolore alla schiena lo ha tenuto lontano dal Lido) da Quentin Tarantino.
Più di tutti, però, è stata la Mostra di Bernardo Bertolucci, premiato con il Leone d’Oro del 75°. Le sue parole unite alle immagini dei suoi film restano la chiusa migliore per questo, comunque ottimo, 64° Venezia. Un epilogo che racconta e che sa di cinema, che quasi ci induce a spingere via i tanti interrogativi di un Leone d’Oro che quest’anno, francamente, non riusciamo proprio a capire.


Enregistrer au format PDF