Venezia 64 - Disengagement - Venezia Maestri
Anche nell’ultimo Gitai c’è dentro cuore, corpo e anima del regista israeliano (qui addirittura impegnato come attore, in un piccolo ruolo): i lunghi, ipnotici piani-sequenza atti a scavare dentro alla realtà lacerata del presente, la tragedia del singolo mischiata a quella di un intero popolo, il caos improvviso che precipita personaggi e ambienti nello stesso incubo ad occhi aperti. Di tali visioni si compone da sempre il cinema di questo talentuoso cantore dei martoriati popoli mediorientali, che da Israele si allarga a macchia d’olio ai territori confinanti, per un’indagine corposa sui problemi di quelle terre che vanta pochi eguali (se pure ve ne sono, pochi possono sfoggiare la straordinaria carica persuasiva delle immagini e delle sequenze di Gitai). Nel coro di voci levatesi nel corso di questa Mostra sui tanti conflitti bellici che devastano svariate parti del mondo, interviene con autorevolezza a dire la sua uno dei più qualificati, oltre che impegnati, cineasti mondiali.
Eppure, non tutto pare perfettamente oliato, stavolta, nel film del cineasta. Qualcosa ancora scricchiola, non torna in quest’ultima sua fatica (anche se, a parziale scusante da avanzare in favore dell’autore, c’è da dire che proprio il termine "fatica" pare essere fuori luogo, dato che il film pare esser stato girato un poco in fretta ed è proprio grazie a questa "premura" che ha potuto essere pronta in tempo per rappresentare una delle tre "sorprese" di quest’ultima edizione della Mostra). Se alcuni tasselli proprio non quadrano, nell’opera di un regista altrimenti tanto quadrato e rigoroso, "l’architetto del cinema" meticolosissimo nella costruzione delle singole inquadrature, varrà la pena interrogarsi e sondare un pò più in profondità le ragioni delle défaillance. Che sembrano riguardare tutte la prima parte - fatta salva la bella opening scene d’ambientazione italiana su un treno - e, in particolare, la delineazione del personaggio Binoche. Le cause saranno allora imputabili all’eccesso di libertà elargito ad un’attrice che provoca un’irritazione difficilmente contenibile, col suo gigioneggiare "spinto" (ebbene sì: proprio lei! L’interprete trattenuta di Kieslowski e Haneke).
Vacua, viziata, frivola, il pianto impaurito che la coglie nell’abitacolo dell’automobile presso un infernale posto di blocco al confine con Israele, fa "rimpiangere", letteralmente, la profusione di lacrime della Portman nella strepitosa apertura di Free Zone, talmente coinvolgente da suscitare empatia nello spettatore, benché, a quel punto, se ne ignorassero ancora le motivazioni. Queste ultime bastava a fornirle la piaga purulenta della terra al di là del finestrino. E viene in mente che, con la vistosa eccezione proprio dell’utilizzo della brava Natalie Portman in quel film, l’impiego delle "dive" sembra non giovare particolarmente al cinema del regista.
Lo scarto fra l’esistenza ovattata in Europa e il disagio, i problemi di tutt’altro genere e spessore che decretano in partenza la tragedia di popolazioni intere, si fa perciò acutissimo, ma anche un pò slegato da tutto il resto, stavolta. Insomma: si tratta di difetti di sceneggiatura che vanno ad inficiare irrimediabilmente il sempre eccellente lavoro di regia di Gitai, la cui qualità permane indiscutibile, continuando a suscitare ammirazione. Qui, però, la lunga parentesi privata dedicata alla vita da ricco-borghese della donna finisce per infliggere un colpo pressoché mortale all’interesse generale tributato alla pellicola. Diventava impresa ardua per chiunque, a quel punto, risollevarsi dal baratro. Si può intuire la volontarietà di tale scelta, onde produrre effetti di contrasto tra due mondi sempre più divisi dalle reciproche differenze: gli esiti, comunque, in questo caso non pagano.
(Dèsengagement); Regia: Amos Gitai; sceneggiatura: Amos Gitai, Marie-Jose Sanselme; fotografia: Christian Berger; montaggio: Isabelle Ingold; musica: Simon Stockhausen; interpreti: Juliette Binoche, Liron Levo, Jeanne Moreau, Dana Ivgy, Hiam Abbass, Barbara Hendricks, Uri Klauzner, Tomer Russo, Israel Katorza; produzione: Agat Films & Cie, Agav Films, Agav Hafakot, con la partecipazione di Canal+, Eurimages, Pandora Filmproduktion, R&C Produzioni; distribuzione internazionale: Studio Canal; origine: Germania/Isrele/Italia/Francia, 2007