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Venezia 73 - Hounds of Love

Pubblicato il 2 settembre 2016 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 73 - Hounds of Love

Capita ogni tanto che il serial killer sia donna.
Non troppo spesso a dir la verità, perché la casistica insegna che, il più delle volte, il mostro della porta accanto è un maschio bianco tra i venti e i trenta anni. Eppure non è così raro come si crede vedere il nero del genere e il rosso del sangue spruzzarsi qui e là di un poco di rosa. E se tra gli ingredienti ci si aggiunge una spolverata di umorismo nero può succedere anche che vengano fuori titoli a loro modo cult come Serial Mom di John Waters che alla gonnella aggiunge anche i tacchi a spillo di una grande Kathleen Turner.
Altre volte, sempre quando il serial killer è donna, succede che l’assassina divenga il vertice di un triangolo delittuoso in cui da una parte sta il marito (più sadico della compagna che spesso soggioga e controlla) e dall’altra sta la vittima, terzo incomodo da eliminare il prima possibile. Di questi esempi se ne trovano al cinema e in televisione fino a Sospesi nel tempo di Peter Jackson che ne è la controparte intinta di ironia.
Se, quindi, qualcuno vi spaccerà Hounds of Love come un film innovativo perché vira il suo discorso in chiave femminista, mettendo al centro una coppia di serial killer a caccia di vittime nella tranquilla Perth australiana due sono le cose: o ha memoria troppo breve (cosa comune all’epoca dei social) oppure sta imbastendo curiose analogie con la celebrazione tutta italiana (e tutta ridicola) del Fertility Day.

Hounds of Love non è particolarmente originale sul mero piano della narrazione e sa di essere calato all’interno di un genere solido e di grande tradizione nel momento stesso in cui, nel prefinale, impagina un montaggio alternato in cui i buoni bussano a una porta, ma chi sentiamo bussare all’uscio del serial killer è un altro: come succedeva ne Il silenzio degli innocenti.
Di più: come film, l’opera di Ben Young ha ben chiaro di muoversi non solo all’interno del cinema più mainstream, ma anche di poter attingere all’interno di un mare di sottogeneri che passano dai film Torture and Revenge (L’ultima casa a sinistra che nasce dalla stessa leggenda medioevale che ispirò La fontana della vergine di Bergman) sino agli Woman in Prison movies.

Hounds of Love, che nasconde nel titolo la vocazione a un discorso spiazzante e disturbante (i mastini sono i cani della serial killer spesso nutriti a bocconcini delle giovani malcapitate di turno) trova la sua originalità piuttosto nel rigore di una messa in scena estremamente pulita che gioca a sottolineare la presenza dell’orrore più bieco in interni che più borghesi non si può, con le tendine alle finestre e i divani un poco cheap in pendant con la carta da parati.
Il film si avvale poi di un cast estremamente ispirato che valorizza un copione che insiste molto sull’idea di una famiglia disgregata come base di un malessere epocale più che individuale (quello della serial killer, ma anche quello dell’ultima vittima, figlia di genitori divorziati, incapace di perdonare la madre per averla, a suo dire, abbandonata).
Abile nel tratteggiare atmosfere malate, forte nella gestione della tensione psicologica (soprattutto nel finale, tesissimo), Hounds of Love è davvero un pregevole prodotto di genere che meriterebbe la visione molto più di tanti blockbuster più pompati dal colosso americano, ma decisamente meno ispirati.


CAST & CREDITS

(Hounds of Love); Regia e sceneggiatura: Ben Young; fotografia: Michael McDermot; montaggio: Merlin Cornish; musica: Dan Luscombe; interpreti: Emma Booth (Evelyn), Ashleigh Cummings (Vicki), Stephen Curry (John), Susie Porter (Maggie), Damian de Montemas (Trevor), Harrison Gilbertson (Jason); produzione: Factor 30 Films; origine: Australia, 2016; durata: 108’


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