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Venezia 73 - The road to Mandalay

Pubblicato il 10 settembre 2016 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 73 - The road to Mandalay

Lianging lascia la natia Birmania in cerca dell’eden di Bangkok. È una ragazza minuta, molto dolce, con pochi soldi nelle tasche e molta speranza negli occhi puliti. Nello zaino porta sapori di casa e poca esperienza del mondo: vasetti di crema di gamberi, conserve fatte dalla mamma e troppo poca carta per proteggerli dalle botte di un viaggio tutto scossoni. In città saranno le prime cose a scontarsi contro l’onnipresenza dei noodles istantanei che riempiono la dieta di disperati come lei in cerca di lavoro per farsi una posizione.
Giusto a inizio viaggio, Lianging incontra Guo, un ragazzo troppo alto per quelle parti del mondo, e il loro conoscersi è già all’insegna della possibile storia d’amore: lui cede a lei, malgrado abbia pagato di più, il suo posto in macchina e accetta di nascondersi nel portabagagli dove tutto è più rischio e più paura.
Si conoscono troppo brevemente, in fondo, però per lui è già scintilla di un sentimento intenso, nascosto, imploso, fatto poi, soprattutto all’inizio, di carezze rubate e di sguardi bassi, pieni di timore.

Del resto le loro storie li portano in direzioni lontane. Lui si accontenterebbe, alla fine di un lavoro alienante in fabbrica, di mettere da parte abbastanza soldi per aprire un negozio di vestiti. Lei, invece, continua a sognare in grande la possibilità di migliorare la propria condizione e di trovare la strada per un riscatto sociale vero che le permetta di andarsene per sempre da quei luoghi di fame e di miseria nei quali è nata e ha vissuto tutta la sua vita.
Le sue aspirazioni la mettono però nelle spirali di uno sfruttamento non meno spersonalizzante della fabbrica.
In quanto clandestina, Lianging non ha permessi di lavoro né carta di identità e deve all’inizio accettare lavori umili e mal pagati e poi cominciare a sborsare ingenti somme di denaro per cercare di procurarsi carte false per continuare a sognare.

Guo la segue, per quel tanto che può. Soprattutto per venirle in soccorso nei momenti del bisogno che sono tanti in una società come quella thailandese che pure si costruisce intorno allo sfruttamento di tanta forza lavoro sommersa e clandestina.

La macchina da presa segue questa breve storia d’amore, di poche parole e piccoli sentimenti, da una distanza altra, spesso siderale, attenta sempre a non privare mai questi personaggi dolenti e bellissimi del contesto nel quale a stento sopravvivono. Così il narrato si riempie della profondità di campo di un racconto che vive negli spazi e negli ambienti tanto quanto nei gesti e negli sguardi. Un punto di vista che si adegua, man mano che il racconto procede, all’altezza delle aspirazioni sempre più frustrate di chi, ultimo tra gli ultimi, può essere sempre sfruttato impunemente.
Il film descrive così al tempo stesso sia la fatica di mantenere una propria umanità in un mondo che riduce i sogni dei clandestini a numeri da chiamare al momento del lavoro sia l’assurda mancanza di cuore di una metropoli nelle cui vene scorre il sangue estorto a chi cercava solo un poco di felicità.

Anima politica e vocazione al melodramma (sia pure composto e spesso gelido) convivono con grande potenze nelle immagini di un film costruito con la giusta lentezza e la grande vocazione fotografica che dopo i campi lunghi della prima parte comincia a stringersi su primi piani sempre più dilaniati.
Poi, quasi a fine film, la vocazione realista cede il passo in maniera inaspettata eppure naturale alla parantesi onirica aperta dalla scelta di Lianging di vendere il suo corpo pur di ottenere in breve tempo i soldi necessari a ottenere gli agognati documenti.
Un’esplosione simbolica di grande suggestione che prelude coerentemente al finale, inaspettato ma non troppo, che piacerà agli estimatori del cinema orientale forse più della prima parte del film, per converso così composta e limpida.

The road to Mandalay, però, è un limpido crescendo di grandissima efficacia che va accettato nella sua interezza. Sicuramente una delle pagine più belle di queste Giornate degli autori che, ci sembrano essere state per tanti aspetti la sezione migliore e più compatta di questa edizione del Festival di Venezia.


CAST & CREDITS

(The road to Mandalay); Regia e sceneggiatura: Midi Z; fotografia:FAN Sheng-Siang; montaggio:Matthieu Laclau; interpreti: Kai Ko, Wu Ke-Xi; produzione: House on Fire, Bombay Berlin Film Production, Seashore Image Productions, Flash Forward Entertainment, Myanmar Montage Films, Pop Pictures Company Limited; origine: Taiwan, Cina, Birmania, Germania, Francia, 2016; durata: 107’


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