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Venezia 73 - Voyage of Time: Life’s Journey

Pubblicato il 8 settembre 2016 da Antonio Valerio Spera

VOTO:

Venezia 73 - Voyage of Time: Life's Journey

Oh, Mother. Su schermo nero, la suadente voce fuori campo di Cate Blanchett invoca la Terra, invoca Madre Natura, come gli aedi facevano con le proprie muse. Soltanto che qui la musa è tanto fonte d’ispirazione quanto oggetto stesso della poesia visiva del regista. Voyage of Time: Life’s Journey è il film che chiude (o almeno sembra chiudere) il percorso filosofico-esistenzialista iniziato da Terrence Malick con The Tree of Life e proseguito con i meno fortunati To The Wonder e Knight of Cups. Un percorso artistico che in questi anni ha gradualmente provato a cambiare l’esperienza cinematografica, mettendo in secondo piano la narrazione classica e facendola sfumare sempre di più all’interno di una macronarrazione sulla Storia della Terra, portata avanti solo per immagini e suggestioni visive.
Definire documentario quest’ultima opera del regista americano non sarebbe semplicemente riduttivo, ma addirittura erroneo. Una volta, probabilmente, qualcuno l’avrebbe definito un film saggio, ma anche questa terminologia sembra accostarsi male al film di Malick. E questa difficoltà di classificazione era ed è probabilmente uno degli obiettivi dell’ultima fase artistica dell’autore: portare il cinema fuori da ogni categoria convenzionale e renderlo pura esperienza visiva.
In Voyage of Time le suggestive immagini della Terra e dello spazio e le “grezze” riprese dell’attuale desolante natura umana rappresentano i vertici temporali della sua narrazione, che comprende al suo interno quella che poi è l’esplicita carrellata sulle varie tappe dell’evoluzione terrestre. Quest’ultima parte dal Big Bang, passa per la nascita dei microrganismi, per i dinosauri (già visti in The Tree of Life), l’uomo primitivo, le prime forme d’arte e di architettura e quindi di civilizzazione, fino ad arrivare al postmoderno, per non dire futurista, skyline di Dubai.
Il tutto scorre sullo schermo come una melodia, dove ogni elemento si inserisce perfettamente tra gli altri in un crescendo lirico che Malick riesce a rendere anche un crescendo emotivo. La potenza del film, infatti, sta anche in questo: nella sua capacità di coinvolgere emotivamente con la sola purezza dello sguardo. Raccontando l’origine della Terra e la sua evoluzione, in fondo Malick recupera anche la stessa magia originaria del cinema - e non è un caso che la desolante realtà umana di oggi sia ritratta con immagini sporche e amatoriali, dalla qualità simile a quella delle riprese che si ottengono con i telefoni cellulari. Malick si pone nei confronti del mondo sia come un occhio interno che esterno, si situa fuori e dentro lo spazio e il tempo, per frammentarli e poi ricondurli ad una logica linearità.
Ne viene fuori un film ipnotico, immersivo, suadente, travolgente per la bellezza che mette in campo (e fuori campo). Una bellezza disseminata in ogni parola ed ogni inquadratura, una bellezza che travalica lo schermo per abbracciare lo spettatore.
Dopo questo film, dopo che il cerchio si è chiuso, il discorso malickiano degli ultimi cinque anni trova una soluzione. E per questo si dovrebbero rileggere anche le due opere precedenti e non considerarle prodotti autonomi, ma tasselli di una tetralogia pensata e concepita come un’unica grande opera, come un’articolata e profonda dissertazione sul mondo, su Dio, e sotterraneamente sull’arte e sul cinema.


CAST & CREDITS

(Voyage of Time: Life’s Journey); Regia: Terrence Malick; sceneggiatura: Terrence Malick; fotografia: Paul Atkins; montaggio: Keith Fraase; effetti speciali: Dan Glass, Douglas Trumbull; musica: Ennio Morricone, Hanan Townshend; interpreti: Cate Blanchet, Brad Pitt; produzione: Sophisticated Films, Wild Bunch, Plan B Entertainment, Sycamore Pictures, IMAX Corporation; origine: USA, 2016; durata: 90’


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