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Venezia 76 - Rare Beasts

Pubblicato il 31 agosto 2019 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 76 - Rare Beasts

Bilie Piper prima di fare l’attrice è stata cantante e ballerina fino al 2003. Non una qualunque: il suo singolo d’esordio, Because We Want to, l’ha tirato fuori dal cappello che era appena quindicenne, diventando per questo, come recitano le sue note biografiche, la più giovane numero uno della UK Singles Chart.
Poi l’interesse per la recitazione l’ha portata a teatro e quindi in televisione, dove si fa notare nel ruolo di Rose Tyler all’interno della serie cult Doctor Who .
Come regista, al suo debutto con Rare Beasts, si porta dentro un po’ tutte le tappe del suo complesso itinerario artistico. Intanto per l’enorme mole di lavoro nella direzione degli attori, evidentissima e necessaria per rendere giustizia a una sceneggiatura scoppiettante e incline al surreale come nel meglio della commedia cinematografica inglese.
Poi per la qualità spesso coreografica nella gestione delle inquadrature e nel ritmo del montaggio che, soprattutto verso il finale, scivola verso un onirismo a tratti molto convincente.
Infine, per la qualità intrinsecamente musicale del gioco narrativo, fitto di modulazioni e continui cambi d’umore con momenti che, a tratti, ricordano la fantasia improvvisativa di certa musica pop meno scontata.
Il tutto a servizio di un esordio riuscitissimo, capace di sintetizzare un umorismo verbale memore del miglior Woody Allen e una libertà inventiva che aspirerebbe, in più momenti, alla qualità visionaria alla Monty Python, ma flirta al tempo stesso coi ritmi di una commedia più normalizzata.

Al centro del discorso la consueta lotta tra i sessi che qui assume contorni inediti. Del resto, nella società contemporanea che è poi quella messa in scena nel film, la definizione dei generi ha da tempo perso il senso che aveva nella realtà preconsumistica fondata sul valore della famiglia più o meno tradizionale.
A fronte del nuovo sistema di potere che più che il lavoratore ambisce a formare il consumatore, l’unità familiare, retaggio millenario della società contadina, non è più meta ideale da conseguire.
La stessa Mandie, protagonista del film interpretata con convinzione dalla regista, proviene da una famiglia disgregata, sottoposta a continui conflitti che costituiscono poi la base del suo malessere esistenziale.
In un certo senso, la donna, che nel frattempo cresce anche un figlio piccolo che ama tantissimo senza riuscire a sentirsene fino in fondo madre, sconta sulla propria pelle il senso di spaesamento che le deriva dall’essere tra i primi anelli di un nuovo sistema di valori in cui la famiglia ha ceduto il proprio posto non si capisce bene a cosa.
Frattanto l’ambito lavorativo diventa palestra di un nuovo conflitto sessista con i maschi che vedono gradualmente corroso il proprio primato, e quindi la propria posizione sociale, e le donne che acquisiscono forza contrattuale sacrificandola però in nome di un femminismo oltranzista che le priva di molte componenti della propria femminilità, non ultima il sentimento materno.

Dall’altro lato dell’agone c’è, poi, Pete, esponente di una famiglia non meno disfunzionale pur se apparentemente coesa nell’adesione ai vecchi riti religiosi, anch’essi retaggio di un mondo che ha gradualmente perso senso. Il problema dell’uomo sta tutto nel riconoscimento della propria posizione nel contesto sociale. Persa la certezza garantitagli dal proprio sesso, Pete tenta una propria definizione come compagno di Mandie e potenziale padre per il di lei figlio. Urta, però, da una parte con la difficoltà del bambino di accettarlo come padre e dall’altra con quella della donna che, più che vedersi vicino un compagno, si ritrova a dover accudire sostanzialmente due bambini in un sistema di valori femminista che le nega sia la possibilità di realizzarsi come madre, che quella di riconoscere il bisogno di un uomo.
Il finale, risolutivo fino a un certo punto, (che ovviamente non sveliamo qui) ha il coraggio di un atto rivoluzionario che rifiuta la consolazione della classica commedia romantica e non a caso prende corpo nel momento narrativamente e visivamente più libero del film.

Insomma un’opera prima che, pur tra i suoi difetti, ha il coraggio di affondare il proprio bisturi nel mondo d’oggi e ci consegna finalmente uno sguardo femminile che ha davvero il coraggio (e l’incoscienza) di volersi tale.


CAST & CREDITS

(Rare Beasts); Regia: Billie Piper; sceneggiatura: Billie Piper; fotografia: Patrick Meller; montaggio: Hazel Baillie; musica: Nathan Coen, Johnny Lloyd; interpreti: Billie Piper, Leo Bill, Kerry Fox, Toby Woolf, David Thewlis, Lily James; produzione: Vaughan Sivell – Western Edge Pictures; origine: Regno Unito, 2019; durata: 89’


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