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Venezia 76 - Se c’è un aldilà sono fottuto

Pubblicato il 1 settembre 2019 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 76 - Se c'è un aldilà sono fottuto

Oscilla tra i due estremi di persistenza e perdita Se c’è un aldilà sono fottuto, documentario sulla vita e l’opera di Claudio Caligari.

La persistenza è quella ostinata della pellicola, che trattiene ancora, come marmo, le immagini potenti di un magistero che si è fermato a soli tre titoli (Amore tossico, L’odore della notte e Non essere cattivo). Ma è anche quella delicata e pudica della memoria che trattiene, per chi ha avuto il piacere di conoscere Caligari e di lavorare con lui, il senso tutto di una vita.

La perdita è quella tutta umana di chi percepisce il vuoto lasciato, di chi, guardandosi indietro a rivedere i propri passi, percepisce con sgomento l’assenza di un qualcosa di importante.
Ma è anche la perdita culturale di un regista onesto che ha saputo cantare gli ultimi con forza pasoliniana e una fame di realtà che ancora oggi, a tanti anni di distanza delle polemiche che animarono l’esordio di Amore tossico, lascia sgomenti per la sua disperata, vitale sincerità.
Come pure è perdita la consapevolezza di quanto poco del mondo pensato dal regista abbia potuto raggiungere la concretezza del film, visto che troppe delle sue opere sono rimaste, per contingenze produttive e paura dell’industria di fronte a un cinema così anomalo, ancorate alla sola pagina scritta della sceneggiatura, impossibilitate ad accedere al set che era il loro luogo deputato.

Tra persistenza e ricordo si anima quindi il lavoro di Simone Isola e Fausto Trombetta. Un’oscillazione evidente sin dalla scelta di restituire all’opera caligariana il senso di un monumento capace di sfidare il tempo, segno tangibile di una resistenza alle mode e ai gusti del momento e di un aprirsi continuo al futuro.
In questo modo i tre film del regista, di cui Se c’è un aldilà sono fottuto restituisce tanto le fasi della realizzazione quando la loro ricezione presso il pubblico, diventano vere e proprie pietre di inciampo che animano il paesaggio cinematografico e restano, come il monumento a Pasolini a Ostia, centro vitale di un continuo ritorno e di un persistente bisogno di confronto.

Ed ecco allora che il bisogno di restituire un senso a una presenza, che è stata e che tuttavia resta, fa sì che presente e passato avverino un percorso dialettico di reciproco rispecchiamento. Ecco perché nel film tante volte lo split screen mette a confronto l’inquadratura di Caligari con lo stesso ambiente ripreso oggi. Ecco perché il montaggio alterna con sapienza il campo di ieri con il controcampo di oggi, a segno di un dialogo che non si è interrotto nemmeno con la morte che, quando si ama il cinema davvero come faceva il regista oggetto e soggetto di questo esercizio di amore, è solo un altro taglio di montaggio. Ecco perché, nel perdersi dei suoni acusmatici nella superficie dello schermo tanto spesso il primo piano del presente si confonde col piano d’ascolto del passato.

Niente si è perso del valore del cinema di Caligari. Soprattutto se si trova la forza di interpretare la persistenza che si nasconde nell’assenza. Se si riesce a comprendere quanto il lascito sia parte integrante del presente e non memoria inerte del passato.
Per questo Se c’è un aldilà sono fottuto supera la dinamica del puro e semplice omaggio cinefilo e al tempo stesso va oltre anche l’omaggio amicale, il ricordo commosso di chi con l’autore ha condiviso più che la visione di un film.
Piuttosto, in corso d’opera, il lavoro di Simone Isola e Fausto Trombetta diventa una riflessione profonda sul rapporto strano che il Tempo costruisce con ciò che resta, come simulacro, sulla pellicola. Senza risposte facili o facili retoriche, ma con quel gesto pieno di vita e di amara ironia che era un po’ anche il modo di pensare e di parlare di Caligari e che restituisce a tutto il lavoro il senso profondo di delicata elaborazione di un lutto individuale e al tempo stesso collettivo.
In questo ridare a "Cesare quel che è di Cesare" sta l’anima forte del film che sa di non poter essere la riparazione al torto della cultura italiana di aver emarginato una delle sue voci più vere e potenti, eppure non si tira indietro di fronte all’esigenza di lenire almeno un poco il rimpianto per le occasioni perdute. Ma con pudore e virile senso cameratesco. Senza polemiche, ma con sguardo lucido e taglio chirurgico.

Perché magari è vero che un aldilà non esiste, ma finché c’è pellicola, ci dice Valerio Mastandrea nelle ultime bellissime battute Caligari rimane ben lontano dall’essere fottuto.


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