Venezia 76 - Sole
Dopo tre cortometraggi visti ai festival di Torino, Venezia e Locarno, esordisce nella regia di un lungo il ‘giovane’ Carlo Sironi (virgolettato perché è nato a Roma nel 1983, dunque non proprio un ‘millennial’), selezionato a Venezia 76 nella sezione Orizzonti. Un esordio, va subito detto, forse adombrato da un’aura che daterebbe ai primi anni di questo nuovo secolo l’humus culturale e visionario del regista romano, per certa monocordia e cupezza di toni, ma decisamente austero, rigoroso, sanamente distante dai vellicamenti della recente estetica televisiva delle fiction, colorcorretta e greve di montaggio e di enfasi narrativa. In Sole, una coproduzione italo-polacca, tutto è dimesso e sottotono, calibrato con l’apparente freddezza di uno sguardo oggi senz’altro più diffuso nella fotografia e nell’arte contemporanea, che nel cinema e nella televisione. Il racconto procede per immagini fisse, costruite secondo un’ammirevole ricerca di equilibri ed armonie con forti richiami alla pittura italiana del ‘300 e del ‘900, non ostanti gli squallidi ambienti e i disadorni paesaggi del litorale laziale che fanno da sfondo alla storia di un solitario ladruncolo che divide il suo tempo tra furtarelli e slot-machine, e una giovane prostituta immigrata dal Nordeuropa che dà alla luce una bambina destinata, secondo l’illegale pratica dell’utero in affitto, ad essere venduta ad una coppia sterile.
Non un capolavoro, beninteso, ma Sole, che è il nome scelto per la neonata, il cui arrivo porterà nelle vite dei due giovani protagonisti (l’attore non professionista Claudio Segaluscio, impassibile, grifagno, ma dallo sguardo ficcante ed espressivo ai confini dell’autismo, e l’attrice polacca Sandra Drzymalska, giovane e glaciale Madonna con bambino, incarnazione di una tela di Francesco Trombadori) quella luce nuova che aprirà loro insospettate prospettive di futuro, è un’ottima e insolita storia ‘d’amore’ che affronta senza plateali prese di posizione tematiche di strettissima attualità come la maternità in vendita e l’affidamento dei figli, e universali come la redenzione sociale attraverso la maturazione derivata dalla paternità, un’operina più che benvenuta nell’attuale cinema nostrano dove sempre meno avvertibile è la presenza di ‘autori’ che inseguano un’idea di cinema estranea alle mode correnti, legata anzi a quell’antica cifra dell’arte italiana, scarna, sobria, dalla gestualità contenuta e minimale, che splende sulle pareti delle nostre pinacoteche. Gradite risultano, nel corso della visione, anche alcune ascendenze garroniane, con particolare riferimento ai primi titoli del regista concittadino di Sironi, e non soltanto per la presenza nel cast, discreta e appena suggerita, dello scrittore Vitaliano Trevisan, protagonista accanto a Michela Cescon di ‘Primo amore’, nell’ormai lontano 2004.
(Sole); Regia: Carlo Sironi; sceneggiatura: Giulia Moriggi, Carlo Sironi, Antonio Manca; fotografia: Gergely Poharnok; montaggio: Andrea Maguolo; musica: Teoniki Rozynek; interpreti: Sandra, Drzymalska, Claudio Segaluscio, Vitaliano Trevisan; produzione: Kino Produzioni, Rai Cinema; origine: Italia/Polonia, 2019; durata: 102’