VIVA LALDJERIE
È proprio il caso di dire Viva Laldjerie (viva l’Algeria). Si potrebbe urlarlo o cantarlo alzandosi da tavola, proponendo un brindisi. E’ l’Algeria che non esiste nelle cronache quella raccontata da Nadir Moknéche, è l’immagine di un Paese che vuole sentirsi libero da vincoli religiosi, è la visione di gente che ha voglia di esprimersi e di farsi valere nelle sue diversità. Sullo schermo appaiono due transessuali, un gay figlio di un medico, due prostitute, e ancora, storie di amanti e di amori impossibili, trascorsi mondani, locali notturni e citazioni televisive che istruiscono sugli usi e costumi americani. Il film, nell’intreccio e nella tipologia dei personaggi ricorda certi lavori almodovariani, una madre (ma potrebbe non essere la vera madre date le sembianze transessuali), una figlia e una prostituta vivono in un hotel del centro. Goucem, la figlia, si è organizzata una vita emancipata: lavora in uno studio fotografico, un amante sposato e generoso, notti calde in discoteca. Fifi, l’amica fedele, si prostituisce, vivendo sotto l’ala di un potente protettore. Papicha, la madre, passa il tempo davanti al televisore, invasa dai ricordi della sua passata notorietà come ballerina di cabaret. Andare oltre la trama del film significa incontrare personaggi che nella loro stravaganza ripongono una speranza di vita, basterebbe ancor più nello specifico analizzare l’epilogo per sospettare che la soluzione potrebbe non essere la loro emancipazione ostentata. E’ chiara la voglia e la necessità di un cambiamento, ma davvero si ha difficoltà a pensare ad un popolo algerino privo di tabù e padrone di usanze e costumi come quelli presentati dal film. Papicha, il personaggio più nostalgico e compromesso dal suo passato è capace di scontrarsi con la decisione di costruire una moschea lì dove sorgeva il Copacabana (locale della sua gioventù). Un film complesso nell’intreccio, ma essenzialmente chiaro nel messaggio. L’emancipazione è qualcosa che va conquistata con gradualità e raggiungerla non significa soltanto riconoscersi nel proprio entourage. L’impossibilità del cambiamento radicale è visibile in Groucem, che vede fallire ogni sua speranza, quella del matrimonio con il suo amante, la morte dell’amica Fifì, il terrore di non riuscire ad emergere da una realtà che, dopo i fallimenti, non le può più appartenere.
[aprile 2005]
Regia: Nadir Moknèche Sceneggiatura: Nadir Moknèche Fotografia: Jean-Claude Larrieu Montaggio: Ludo Troch Sonoro: Daniel Ollivier Musica: Pierre Bastaroli Costumi: Olivier Bériot e Fabienne Josserand Scenografia: Jacques Bufnoir Interpreti: Lubna Azabal, Jalil Naciri, Nadia Kaci, Biyouna, Waquih Takla, Ali Harrat, Hadjira Sellami, Lounes Tazairt, Nathalie Karsenti, Samir Guittara, Serge Avédikian Formato: 35 mm, colore Durata: 113’ Versione: francese, con sottotitoli italiani Produzione: Bertrand Gore e Nathalie Mesuret per Sunday Morning Productions (Francia), Need Productions (Belgio), BL Prod. (Algeria), Gimages Films (Francia), ARTE France Cinéma