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Water

Pubblicato il 5 ottobre 2006 da Andrea Esposito


Water

Per il terzo episodio (dopo Fire e Earth) della sua trilogia degli elementi, la regista Deepa Metha sceglie di raccontare la drammatica condizione delle vedove indiane. Per la religione hindu, una vedova ha tre scelte: gettarsi sulla pira dove arde il corpo dello sposo, sposare, se la famiglia lo permette, il fratello del marito, o passare un’esistenza di emarginazione e sofferenze, scacciata dalla gente.
Siamo nell’India del 1938: Chuyia è una bambina di otto anni, appena sposata e già vedova. “Ti ricordi di essere sposata?” le chiede il padre. Lei risponde “No”. Il padre prosegue: “Tuo marito è morto. Ora sei una vedova”. “Per quanto tempo?” fa lei, ma la domanda resta senza risposta: Chuyia non sa che la sua condizione è perpetua, ed è stata già destinata a vivere in un Ashram, il luogo dove le vedove trascorrono un’esistenza di impotente isolamento. Attraverso i suoi occhi conosciamo la vita monca delle altre vedove. Tra queste la giovane e bellissima Kalyani, che diventa subito amica di Chuyia.
Kalyani, la cui condizione è ulteriormente drammatica, dato che viene fatta prostituire per guadagnare del denaro che permetta alle vedove di sopravvivere, si innamora di Narayan, un seguace di Gandhi, che decide di sposarla e portarla via dall’Ashram. Ma i due devono affrontare la tradizione, che vieta a una vedova di risposarsi. Lo scontro tra fede e coscienza (incarnato specialmente nella figura dell’altra vedova Shakuntala) è uno dei cardini tematici del film.
Water, osteggiato dagli integralisti hindu (tanto che la produzione del film è stata costretta a spostarsi in Sri Lanka), affronta quindi lo snodo fondamentale del rapporto tra fede e identità, della religione come tradizione contrapposta al desiderio individuale di autoaffermazione e localizza questa riflessione nel 1938, momento storico fondante per la nascita dell’India contemporanea: è in quell’anno che Gandhi viene liberato dagli inglesi e inizia la sua predicazione.
Gandhi incarna il bisogno dell’India di liberarsi dalle sue tradizioni inviolabili, dalla divisione in caste, dalle strutture arcaiche e inamovibili. Nel film non appare in carne ed ossa se non alla fine, restando così fino ad allora una parola, un fermento che serpeggia tra la bocca dei vari personaggi che ne riprendono le affermazioni ed il pensiero. Come la “nuvola messaggera” di cui parla Narayan, Gandhi trasporta il messaggio di un desiderio inarrestabile di liberazione. E’ l’acqua, come si intuisce dal titolo, l’elemento costituivo del film. L’acqua è il fiume su cui passano i cadaveri e le spose bambine, che trasporta ceneri e vedove, prostitute, amanti. In cui lavano i loro corpi ogni giorno milioni di indiani. Quest’acqua è una distesa immota che segue il passaggio delle vite degli uomini. Transitorie, esse fanno da contrappunto alla sacralità del fiume, alla sua perenne imperturbabilità. Ma l’acqua è anche movimento. Proprio all’alba dell’innamoramento tra Kalyani e Narayan si scatena un temporale: l’acqua cade sui due amanti, su Chuyia, sull’Ashram e sulla città, e porta il divertimento, i sorrisi e i giochi, la sensazione della libertà. L’acqua messaggera del cambiamento, che sembra spazzare via costrizioni e schiavitù in una giocosa liberazione.
Tale liberazione passa anche per i colori, esaltati dall’intensa fotografia di Giles Nuttgens: i sari bianchi delle vedove raccontano visivamente la loro austera reclusione, contrapponendosi alle variopinte strade della città. Nella bella scena della festa, finalmente anche le vedove sono investite da un’esplosione di colori accesissimi, vitali. E allora sembrano quasi lontane dalla loro prigionia. Ma questa liberazione resta una folata di vento. Uno dei meriti del film è appunto quello di rimandare e talvolta negare gli esiti più prevedibili delle situazioni che mette in gioco. Seppure infatti l’intreccio può risultare piuttosto tradizionale e l’analisi dei personaggi poco approfondita, Water non dimentica la sua “compassionevole denuncia” della condizione delle vedove indiane, e sfugge continuamente alla tentazione di una prospettiva semplicemente salvifica: come se prevalesse il senso di responsabilità che si ha nel racconto di un dramma tuttora così vasto e inconcepibile.

(Water) Regia: Deepa Metha; soggetto e sceneggiatura: Deepa Metha; fotografia: Giles Nuttgens; montaggio: Colin Monie; musiche: Michael Danna; scenografie: Dilip Metha; costumi: Dolly Ahluwallia; interpreti: Lisa Ray (Kalyani), Seema Biswas (Shakuntala), John Abraham (Narayan), Kulbhushan Kharbanda (Sadananda); produzione: Deepa Metha Films, Flagship International, David Hamilton Productions, Echo Lake Productions (I), Noble Nomad Pictures LTD., Telefilm Canada; distribuzione: Videa-CDE/Warner Bros. Italia; origine: Canada/India 2005; durata: 117’

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