Welcome Home
Nonostante i soli 72 minuti di durata, Welcome Home di Tom Heene, presentato nella Settimana della Critica, mette tanta, troppa carne al fuoco. E lo fa in modo confuso, slegato, quasi illogico da un punto di vista sia narrativo che contenutistico.
A Bruxelles, una giovane ragazza in bicicletta, Lila, viene investita da una macchina portata da un gruppo di giovani che si sta dirigendo in discoteca dopo una giornata di lavoro per festeggiare il compleanno di una di loro. Da lì parte un lungo flashback, che ci mostra la ragazza tornare nella capitale belga a seguito di tre mesi di vacanza. Dopo una lunga camminata per la città insieme ad un signore iraniano che aveva studiato a Bruxelles quarant’anni prima, Lila arriva a casa sua, dove il fidanzato la sta aspettando invano da un mese. Liti, discussioni, sesso, confessioni di tradimento, riflessioni sul senso dell’amore e sul valore del rapporto di coppia. In mezz’ora di film tra i due succede tutto questo, prima che la ragazza se ne vada di casa in sella alla sua bici e venga investita.
Trovare un significato a Welcome Home è missione ardua. Discorso politico sull’Europa? Metafora della crisi economica? Riflessione sull’immagine che l’Europa dà agli stranieri? Critica sociale incentrata sulla perdita dei valori? Probabilmente il film di Tom Heene è tutto questo. Ma si tratta sempre e comunque di un’idea aleatoria. E’ difficile trovare una connessione tra le tre parti che compongono il racconto: la prima, delicata, nostalgica e quasi poetica, in cui scopriamo Bruxelles, la sua urbanistica, le sue architetture, grazie all’incontro tra Lila e il signore iraniano; la seconda parte interamente ambientata nel piccolo appartamento della coppia in crisi, dove sesso, tristezza e disperazione si fondono profondamente; e la parte finale in cui uno dei ragazzi che ha investito Lila, un giovane funzionario delle istituzioni europee, spinto dal senso di colpa e dalla sua coscienza civile lascia la discoteca per andare in ospedale a conoscere le sue condizioni.
Welcome Home è un minestrone dove gli ingredienti sono dosati a caso, i contenuti rimangono idee accennate e i significati non escono dall’indecifrabilità. Non c’è un vero filo conduttore, una linea concettuale che leghi i tre blocchi narrativi. L’intero racconto non sembra supportato da una base solida e chiara e qualunque tentativo di comprensione e di spiegazione di quanto avvenga sullo schermo può solo rivelarsi vana. Solo gli attori si salvano in questa pellicola, su tutti i due protagonisti Manah Depaw e Kurt Vandendriessche, danno anima e corpo - è il caso di dirlo! - per renderle al meglio i loro personaggi.
C’è tanta presunzione nel film di Tom Heene, una pretesa di autorialità che ne rende fastidiosa la visione. Incomprensibile la selezione in un festival importante come quello di Venezia e in particolare in una sezione come la Settimana della Critica sempre attenta alla qualità. Forse si cercava il film scandalo, date le scene di sesso esplicite con tanto di fallo ripreso più volte in dettaglio. Ma per fare scandalo ci vuole ben altro. Per far parlare di sé un film deve dire qualcosa. E non è il caso di Welcome Home.
(Welcome Home) Regia: Tom Heene; sceneggiatura: Tom Heene; fotografia: Frederic Noirhomme; montaggio: David Verdumme; interpreti: Manah Depaw, Felipe Mafasoli, Kurt Vandendriessche, Nader Farman; produzione: Stempel, Alea Jacta Postproduction; origine: Belgio; durata: 72’.