WORKINGMAN’S DEATH
Il lavoro rende libero l’uomo. E’ il principio assoluto che sembra vacillare di fronte alle immagini del coraggioso documentario “Workingman’s Death” di Michael Glawogger presentato al 62° Festival di Venezia nella sezione “Orizzonti”. Il lavoro che diventa specchio della morte e della vita, il lavoro come unica possibilità di sopravvivenza.
Il documentario attraverso un collage di immagini e brevi interviste racconta la vita di comunissimi operai di diverse nazionalità (Ucraina, Indonesia, Nigeria, Pakistan e Cina). Dai minatori di carbone in Ucraina ai putridi macelli della Nigeria, passando attraverso le miniere di zolfo dell’Indonesia e ai Pasthun pakistani che smantellano imponenti e gigantesche navi inglesi, lavori diversi ma con le stesse identiche problematiche, con la stessa mancanza di dignità.
L’idea è quella di un documentario che non vuole soltanto impressionare o colpire la sensibilità dello spettatore inondato dagli schizzi di sangue di capre sgozzate o dalle asfissianti immagini di minatori che sdraiati nei tunnel riescono anche a mangiare e fumare, l’impressione è piuttosto quella di denuncia verso una cultura occidentale che all’inizio del XXI secolo sembra aver dimenticato certe realtà lavorative, è la condanna di un Occidente che costruisce surreali parchi giochi in vecchie miniere d’acciaio a dimostrazione di un falso superamento del disagio di molti operai. Altro aspetto abilmente espresso dal regista è l’avversione verso una condizione lavorativa che nella sostanza non muta nei decenni, nonostante le innumerevoli innovazioni tecnologiche (come i recenti fatti di cronaca non mancano di confermare anche da noi). Michael Glawogger lo dimostra accostando vecchie immagini documentarie di operai russi che negli anni trenta diventano eroi fomentati dall’idea di grandezza e di potenza della propria nazione. Ma oggi Stakanov non è più un modello per nessuno, nemmeno per gli operai della vecchia Unione Sovietica, nessuno vorrebbe lavorare in una miniera per rendere grande la propria nazione, chi lo fa prega Dio, chi lo fa è per non morire assiderato, per mancanza di cibo, per la sopravvivenza chi lo fa dichiara all’inizio del film con il volto coperto di fuliggine: “non si può mangiare per otto ore consecutivamente, non si può bere per otto ore di fila, non si può nemmeno fare l’amore, l’unica cosa che si può fare è quella di lavorare è questo che rende l’umanità così terribile”.
Regia: Michael Glawogger sceneggiatura: Michael Glawogger fotografia: Wolfgang Thaler montaggio: Monika Willi, Ilse Buchelt produzione: Lotus Film GmbH