Yoyochu in the land of the rising sex - Roma 2010 - Extra
Si può dire o pensare quel che si vuole ma esiste un genere intramontabile, che conta da sempre milioni di fan in tutto il mondo. Un genere che appassiona chi lo consuma furtivamente, magari comprandolo in un’edicola, e chi ne gode comodamente da casa: il porno. Il nostro paese è infatti al quarto posto nella classifica mondiale dei fruitori di questo particolare genere, preceduta, nell’ordine, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra e dal Giappone. Ed è proprio dalla terra del Sol Levante che arriva Yoyochu in the land of the rising sex, documentario di Masato Ishioka dedicato alla figura di Tadashi Yoyogi, mitico regista di Adult Movie nipponici.
Non è certo la qualità tecnica o l’originalità stilistica a brillare nella pellicola di Masato Ishioka, Yoyochu in the land of the rising sex. Sin dalle prime inquadrature infatti l’alternanza fra spezzoni di Adult Movie, scene riprese da una videocamera quasi amatoriale e canoniche interviste identifica questa pellicola come un classico documentario indipendente. Quello che semmai attira l’attenzione è il particolare tema trattato. Non è così consueto trovarsi davanti ad una pellicola che analizzi il porno come un vero e proprio genere e il suo oggetto come una fonte di analisi psico-sociologica. Analisi in cui invece Yoyogi Tadashi è un vero maestro. Dal racconto del suo passato veniamo così a conoscenza della sua iniziale appartenenza alla Yakuza, la famigerata malavita giapponese, delle sue passioni e, soprattutto, del suo passaggio all’industria del porno. Una pornografia che si basa però su fondamenta molto diverse da quelle che l’industria occidentale ci ha sempre proposto. E’ lo stesso Yoyogi Tadashi a suggerirci come “la pornografia in America sia figlia di una società materialista che mette al centro l’apparenza”. La sua invece è una pornografia di realtà e di essenza. Un porno che non indugia sui dettagli, sulle strette inquadrature cliniche, sui close up ginecologici, ma mette al centro dei video il piacere femminile. Un piacere vero, perché, sempre secondo il settantaduenne regista, solo questo è in grado di attraversare allo schermo e arrivare al proprio pubblico. Facendo così di necessità virtù i registi nipponici di porno, pur non mostrando le sequenze più strette e ravvicinate, vietate per legge, raggiungono comunque l’obiettivo che queste pellicole si propongono. E’ su questa piccola rivoluzione, su questo stravolgimento del punto di vista, che si fonda il documentario di Masato Ishioka. Fra le pieghe del racconto di Yoyogi Tadashi si nascondo infatti le motivazioni che fanno di questa particolare industria una delle più fiorenti al mondo. Una produzione con delle peculiarità specifiche, profondamente diverse da quelle di qualsiasi altra parte del mondo (anche se, va detto, è lo stesso Yoyogi Tadashi ad ammettere tristemente che anche in Giappone la pornografia si sta avvicinando ai canoni americani), che dalla trama, sempre presente, al diverso punto di vista del racconto si distacca radicalmente da quelle che vengono, universalmente, considerate le fondamenta di questo genere. Un documentario che può lasciare dunque perplessi per la messa in scena e la tecnica realizzativa ma che sicuramente apre interessanti riflessioni su di un mondo che quasi tutti consumano o hanno consumato ma su cui, per vergogna o ipocrisia, sempre si tace.
(Yoyogi Tadashi to Sono-Jidan) Regia: Masato Ishioka; fotografia: Kyuhei Tsubakihara, Ken Nishikawa, Masato Ishioka; montaggio: Toshihide Fukano, Masato Ishioka; musica: Hideo Goto; produzione: Gold View Co., Ltd.; origine: Giappone; durata: 115’.